Sergio Marchionne è morto il 25 marzo nella clinica svizzera dove era ricoverato. Avrebbe dovuto concludere il suo mandato come amministratore delegato di FCA, dopo 14 anni, nel mese di aprile del 2019. Il manager italo-canadese sarebbe comunque restato nel consiglio di amministrazione di Exor e fino al 2021 alla guida della Ferrari. La sorte vuole che proprio quest’anno, nel 2018, avrebbe dovuto portare a termine il piano industriale presentato a Detroit a maggio 2014, che prevede l'azzeramento del debito. E, probabilmente, avrebbe dato l’annuncio di una nuova grande alleanza prima dell’addio.
Nato a Chieti nel 1952, doppia nazionalità italiana e canadese, ha due figli. Dopo la morte del padre, si trasferisce con la famiglia a Toronto all'età di 14 anni. Studia filosofia, economia aziendale e giurisprudenza. Metodo non solo nello studio. Un giorno racconta di avere 30 pullover e paia di pantaloni identici in ciascuna delle sue case nel Michigan, Torino, Italia e in uno chalet fuori Zurigo. Gli piace anche mettersi al volante di auto veloci. Nel 2007 è uscito incolume da un incidente su un'autostrada svizzera mentre era alla guida di una Ferrari 599 GTB.
Marchionne diventa ceo della Fiat nel 2004, alla morte di Umberto Agnelli, al posto di Giuseppe Morchio. L'azienda, allora, è vicina al fallimento. Il bilancio 2003 presenta un rosso di 2 miliardi di euro e una perdita operativa di 500 milioni. I primi passi di Marchionne sono lo scioglimento della joint venture con General Motors da cui ottiene 2 mld di dollari di “risarcimento”, mentre non va a buon fine il tentativo di rilevare la tedesca Opel.
Poi l'acquisto di Chrysler nel 2009, che consente al gruppo di piazzarsi al settimo posto tra i costruttori mondiali di auto. Marchionne porta a termine gli spin off di Cnh Industrial e Ferrari, operazioni che fanno crescere la capitalizzazione di FCA a 56 miliardi. Più recente il piano di rilancio dell'Alfa Romeo, la scelta di portare il Biscione in Formula 1 e la nascita del polo del lusso con Maserati.
L'ex amministratore delegato è stato anche l'uomo della linea dura nel campo delle relazioni industriali, con la disdetta nell'aprile del 2010 del contratto collettivo nazionale e l’uscita nel 2011 da Confindustria. Ma alla fine i numeri gli hanno dato ragione, riuscendo a trasformare la Fiat in un gruppo globale.