La cancelliera tedesca Angela Merkel è volata a Mosca (il 20 agosto) per incontrare il presidente russo Vladimir Putin, proprio nel giorno dell’anniversario dell’attacco con il gas nervino contro il leader dell’opposizione Alexei Navalny, curato poi a Berlino.
In quella che è stata l’ultima visita della Merkel in Russia, lo staff della cancelliera ha chiarito che la tempistica dell’incontro non è casuale, dato che (come ha detto il suo portavoce Steffen Seibert) “le nostre richieste (su Navalny, ndr) non sono ancora state soddisfatte”, il caso è “irrisolto” ed è un “pesante fardello” sulle relazioni tra i due Paesi.
Al centro dell’incontro dei due leader anche la presa di potere dei talebani in Afghanistan, la guerra in corso nell’Ucraina orientale e la repressione autoritaria in Bielorussia, alleato di ferro della Russia. Sul tavolo pure il dossier Nord Stream 2, il contestato gasdotto tra Russia e Germania, ormai ultimato, che entro fine anno dovrebbe diventare pienamente effettivo.
La Germania resta uno dei principali partner della Russia in Europa e nel mondo, ha detto Putin. Mosca e Berlino devono continuare il dialogo nonostante le controversie, gli ha fatto eco la cancelliera tedesca, che punta sul Cremlino come mediatore sulla situazione afgana. Su questo punto, il presidente russo ha chiarito che “non si può imporre il proprio stile di vita su altri popoli, perché hanno le loro tradizioni. Questa è la lezione da trarre da quanto accaduto in Afghanistan. D’ora in poi lo standard sarà il rispetto delle differenze, perché non si può esportare la democrazia, che uno lo voglia o no.”
Intanto, oltre a Mosca, Pechino (in collaborazione con Teheran) appare sempre più al centro della scena. Per i talebani la Cina, “un grande Paese con un’economia e capacità enormi”, può avere “un ruolo molto importante” nella ricostruzione dell’Afghanistan, ha detto a Cgtn Europe un portavoce dei talebani, Suhail Shaheen.
Ma i talebani non guardano solo ad Est. E spiegano che il loro principale referente è la Turchia, che può contare sul secondo esercito della Nato e che ha, nel frattempo, evacuato in segreto da Kabul alti funzionari afgani, tra cui il vice presidente Sarwar Danish, il ministro degli Esteri Mohammad Hanif Atmar, il capo della Sicurezza Nazionale Ahmed Zia Sraj, altri tre ex ministri e diversi parlamentari. Un risiko complesso, senza vincitori.