“Nella nostra storia non abbiamo mai avuto nessun bisogno di avere lo Stato nel nostro capitale. Gli Stati entrano nelle imprese quando vanno male e Stellantis va molto bene”, ha detto nei mesi scorsi il presidente dell’azienda che oggi è il risultato della fusione tra Fca (ex Fiat) e la francese Psa, John Elkann, a proposito di un eventuale ingresso dello Stato italiano attraverso Cdp.
In effetti, la circostanza indicata da Elkann è vera (parzialmente, più avanti vedremo perché), ma omette di ricordare di aver ricevuto miliardi di soldi pubblici che sono entrati nelle casse dell’azienda. Decenni di incentivi, aiuti, linee di credito. Nel 2012 Federcontribuenti ha fatto un calcolo complessivo: dal 1975 la casa Torinese “ha ottenuto dallo Stato italiano l’incredibile somma di 220 miliardi di euro tra varie casse integrazioni, prepensionamenti, rottamazioni, nuovi stabilimenti in gran parte finanziati con risorse pubbliche e contributi statali sotto varia forma”. Numeri mai smentiti dalla casa torinese.
Più recentemente anche la testata ‘Domani’ ha criticato le dichiarazioni di Elkann con un editoriale di Salvatore Bragantini: “Che non abbia mai dovuto far entrare lo Stato in azienda è una mezza verità legale e, se non una reale balla, una sicura burla. Nella sua storia Fiat ha avuto più volte bisogno di una partecipazione statale ma, potendo scegliere, ha preferito incassare in modi meno vincolanti”. E poi dentro Stellantis uno Stato c’è, ed è quello francese, che detiene il 6 per cento.
Ma anche quello italiano continua in qualche modo a darsi da fare. L’ultimo supporto fornito a Stellantis è stato la maxi linea di credito da 6,3 miliardi concessa dal secondo governo Conte nel 2020, durante la pandemia, per “preservare e rafforzare la filiera automotive italiana”. Il prestito è stato restituito in anticipo da Stellantis nel 2022, ma la produzione non è ancora tornata ai livelli pre-Covid, mentre dal 2021 il gruppo ha lasciato a casa quasi 8mila lavoratori.