“Il pluralismo è una concessione al fatto che l’economia neoclassica domina l’insegnamento accademico dell’economia, è ostile a qualsiasi altro approccio, controlla i cordoni della borsa per i finanziamenti alla ricerca e agisce come guardiano contro l’adozione di paradigmi alternativi in tutte le università, tranne quelle di rango più basso”. È quanto scrive l’economista australiano post-keynesiano Steve Keen su Kritica Economica.
Quindi – prosegue Keen - “l’unico modo in cui l’insegnamento e la ricerca non neoclassici possono sopravvivere nelle università sarebbe quello di chiedere pluralismo. Ciò si traduce nel chiedere ai dipartimenti neoclassici di non perseguitare gli studiosi non neoclassici, e di tollerare che alcuni corsi non siano strettamente neoclassici. Tuttavia, questa situazione non ha motivo di esistere. Infatti, l’economia neoclassica dovrebbe già appartenere alla storia del pensiero economico come un paradigma fallito, tanto sbagliato sull’economia quanto lo era l’astronomia tolemaica sull’universo”.
“Se l’economia rispondesse alle anomalie paradigmatiche come fanno le scienze naturali – conclude Keen - allora l’economia neoclassica sarebbe morta all’inizio degli anni Settanta e un nuovo paradigma l’avrebbe sostituita. Invece, poiché la dinamica del ricambio generazionale delle scienze naturali non si applica alle scienze sociali, l’economia ha evitato una rivoluzione scientifica, nonostante le numerose anomalie emerse”.
Presi per il PIL
Un aspetto importante della teoria neoclassica riguarda il fatto che sia il lato della domanda sia quello dell’offerta sono determinati come risultato dei processi di massimizzazione rispettivamente dei consumatori e delle imprese. Domanda e offerta sono sempre in equilibrio, indipendentemente dal numero di agenti o di mercati, in base alla legge di Walras. In pratica, si da per scontato che tutti i soggetti che operano sul mercato sono razionali (nelle loro scelte) e perfettamente informati. Questi due ultimi aspetti sono stati smentiti, secondo un’impostazione neo-keynesiana dell’economia, dall’evidenza empirica.