Una persona su dieci che vive in un paese dell'Ue è nata all'estero. L'immigrazione è ormai una caratteristica stabile delle economie contemporanee e non vi è alcuna indicazione che i flussi diminuiranno nell'immediato futuro. È quanto emerge dal rapporto annuale “Immigrant Integration in Europe and Italy” dell’Osservatorio sulle Migrazioni Centro Studi Luca d’Agliano di Milano e del Collegio Carlo Alberto di Torino.
Complessivamente in Italia, fra il 2009 e il 2017, il numero di immigrati residenti è passato da 4,5 a 5,9 milioni. In totale i nati all’estero rappresentano quasi il 10% della popolazione italiana, a fronte del 13,3% rilevato in Germania e Regno Unito e dell’11,3% osservato in Francia.
Un altro dato è la correlazione positiva tra i livelli di istruzione degli immigrati e dei nativi: i paesi europei con quote più elevate di cittadini dotati di alta formazione sono anche quelli in grado di attrarre una forza lavoro immigrata più istruita. L'Italia è forse il paese in cui ciò è più evidente: ha sia la percentuale più bassa di nativi con istruzione terziaria di tutta l'Ue, sia che la quota più modesta di immigrati in possesso di un titolo universitario. Il senso è che se si vuole attrarre immigrazione qualificata occorre che i nativi studino di più.
Nonostante i livelli di istruzione siano inferiori, i tassi di occupazione degli immigrati in Italia sono paragonabili a quelli della popolazione nativa: rispettivamente, 64% e 65%. Una situazione tutto sommato positiva rispetto alla media dell’Ue, dove gli immigrati evidenziano un tasso di occupazione di 7,2 punti percentuali inferiore a quella dei nativi. Tuttavia, questa differenza è legata anche agli elevati tassi di occupazione registrati specialmente nell’Europa del nord.
C’è, poi, un effetto paradossale. Dopo alcuni anni passati in Italia, la probabilità di trovare occupazione per gli immigrati sale più rapidamente rispetto ai nativi, anche se i salari dei primi sono più bassi rispetto ai secondi. E la tendenza continua a persistere anche dopo vent'anni.
Lo studio mette in evidenza una dicotomia: mentre l'immigrazione può imporre alcuni costi a breve termine se mal gestita, può invece fornire un'opportunità economica straordinaria per i paesi ospitanti se viene adeguatamente integrata nella società. Tuttavia, l'asimmetria tra le politiche sull'immigrazione che sono deliberate in modo indipendente dai singoli paesi membri dell’Ue e, allo stesso tempo, l'abolizione dei controlli alle frontiere interne dell'Unione, ha fatto entrare Bruxelles in una situazione di stallo sulle politiche migratorie. Dal quale occorre, e conviene a tutti, uscirne.