Mentre il mondo assorbe la prospettiva di un conflitto in escalation in Medio Oriente, le potenziali ricadute economiche stanno seminando un allarme crescente. Il timore principale è uno shock per l’approvvigionamento globale di petrolio, che minaccerebbe molte economie con il rischio di recessione.
La domanda chiave è come Israele risponderà all’attacco missilistico iraniano e cosa succederà dopo. Ad esempio, un attacco israeliano alle installazioni petrolifere iraniane potrebbe spingere l’Iran a colpire le raffinerie in Arabia Saudita o negli Emirati Arabi Uniti, entrambi importanti produttori di petrolio.
Come ha già fatto in passato, l’Iran potrebbe anche minacciare il passaggio delle petroliere attraverso lo Stretto di Hormuz, la via d’acqua critica che è il condotto per il petrolio prodotto nel Golfo Persico, la fonte di quasi un terzo della produzione mondiale di oro nero.
L’Iran, a sua volta, è un importante produttore di petrolio (quasi 4 milioni di barili al giorno, ovvero circa il 4% del totale globale, secondo la US Energy Information Administration). Ma altri stati del Golfo Persico come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti potrebbero espandere la produzione per compensare quel volume, allentando le pressioni sui prezzi internazionali.
Resta il fatto che, se l’Iran colpisse le raffinerie nella regione o interrompesse le vendite all’estero, il mondo potrebbe subire uno shock considerevole. Secondo un’analisi di Oxford Economics, in una guerra regionale che coinvolga Israele e Iran, i prezzi del petrolio salirebbero fino a 130 dollari al barile e l’economia globale subirebbe un colpo dello 0,4%.
Nel frattempo, gli Stati Uniti sono diventati il principale produttore di petrolio al mondo, grazie al loro aggressivo sviluppo dello shale oil. Alcune economie si sono mosse in modo aggressivo per espandere la produzione di energia eolica, solare, geotermica e altre fonti di energia rinnovabili, riducendo la dipendenza dal petrolio. Il problema di base è che la domanda globale di energia è cresciuta ancora più rapidamente, rafforzando lo status del petrolio come materia prima essenziale.
Il risultato è che la conseguenza più pesante di uno shock dell’offerta di petrolio si vedrebbe nei paesi a basso reddito alle prese con crisi del debito, tra cui Zambia, Mozambico, Tanzania e Angola.
La pressione ricadrebbe anche sulla Cina, che acquista oltre il 90% delle esportazioni di petrolio iraniano e dipende dalle importazioni per circa tre quarti del suo consumo.
Gli Stati Uniti potrebbero essere nella posizione migliore per assorbire uno shock. Le aziende americane impegnate nella produzione di combustibili fossili trarrebbero vantaggio da un colpo alla fornitura globale di petrolio, raccogliendo guadagni da prezzi più alti. Tuttavia, l'impatto di una crescita economica globale più lenta ostacolerebbe altre aziende domestiche, in particolare quelle che esportano.
Il Vecchio Continente appare particolarmente vulnerabile alle interruzioni. “Quello che si otterrebbe in Europa è una stagflazione”, ha affermato Jacob Funk Kirkegaard (Peterson Institute for International Economics di Washington), utilizzando un termine che descrive una combinazione persistente di prezzi in aumento e crescita più lenta.
Il beneficiario più evidente dell'aumento dei prezzi del petrolio sarebbe, invece, la Russia. Se Israele colpisse l’Iran abbastanza duramente da provocare un attacco iraniano mirato a danneggiare la produzione energetica regionale, ciò aumenterebbe il prezzo del petrolio, garantendo di fatto maggiori entrate finanziare a Putin.