Il 9 gennaio attivisti internazionali e organizzazioni ambientaliste si sono riuniti fuori dal Parlamento norvegese per protestare contro l’approvazione delle attività estrattive minerarie nelle acque profonde dell’Artico (il cosiddetto Deep Sea Mining).
La proposta del governo (che ha già ricevuto il via libera) è quella di aprire all’estrazione mineraria un’area grande quasi quanto l’Italia. La zona si trova nell’Artico, tra le Svalbard, la Groenlandia, l’Islanda e l’isola di Jan Mayen, uno degli ultimi luoghi incontaminati per la vita marina artica.
Le prime licenze di estrazione dovranno tuttavia essere approvate dal Parlamento norvegese: questo significa che la battaglia per fermare l’estrazione in acque profonde non è ancora finita.
Il Deep Sea Mining devasta i fondali marini alla ricerca di minerali e metalli, distruggendo ecosistemi vulnerabili, pressoché ignoti e incontaminati. Ma non è tutto: l’attività mineraria può interferire anche con i processi naturali con i quali gli oceani sequestrano e immagazzinano il carbonio.
Le acque degli oceani infatti catturano il carbonio in superficie e lo trasferiscono in profondità, mitigando gli impatti del cambiamento climatico: questo vuol dire che le estrazioni minerarie negli abissi, oltre a minacciare gli ecosistemi marini, possono addirittura accelerare la crisi climatica.