La conferma nel 2025 di alcuni degli interventi finanziati dall’ultima manovra solo per il 2024 (tra cui, in particolare, il taglio del cuneo) impatterebbe sul deficit per circa 18 miliardi. Lo calcola l’Ufficio parlamentare di bilancio nel suo Rapporto annuale, spiegando che, aggiungendo a tale importo anche altre spese solitamente inserite nelle politiche invariate, quali per esempio gli oneri per il prossimo triennio contrattuale dei dipendenti pubblici (2025-27), l’impatto complessivo sull’indebitamento netto potrebbe superare quello indicato nel Def, di poco inferiore ai 20 miliardi.
DEBITO PUBBLICO. “La politica di bilancio italiana ha di fronte un percorso di risanamento volto a ridurre il peso di un debito pubblico elevato che costituisce un fattore di vulnerabilità per l’economia del Paese, oltre a sottrarre risorse a impieghi produttivi e socialmente utili”. Lo ha detto la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Lilia Cavallari nella relazione alla presentazione del Rapporto annuale. “È un percorso ambizioso che limita la possibilità di effettuare interventi in disavanzo, ma che fornisce altresì una opportunità da cogliere. È l’opportunità - conclude - di disegnare una politica di bilancio che guarda al futuro”.
CUNEO FISCALE. L’impatto sulla progressività del taglio del cuneo fiscale complessivo – evidenzia l’Upb - “è ovviamente positivo”. Tuttavia, il sistema per fasce di reddito anziché a scaglioni “altera il profilo delle aliquote marginali. La distorsione è tale da generare una trappola della povertà vicino alle due soglie di reddito oltre le quali si abbassa o viene meno lo sgravio contributivo (25mila e 35mila euro), con aliquote marginali superiori al 100 per cento”. L’aumento di un solo euro del reddito - si legge nel rapporto - “determina una diminuzione dello sconto e quindi del reddito disponibile, di circa 150 euro quando si superano i 25mila euro lordi e di circa 1.100 euro superati i 35mila euro lordi. Questo fenomeno diventerebbe estremamente rilevante se la decontribuzione dovesse diventare permanente”.
IRPEF. “Nell’ultimo decennio l’Irpef è stata interessata da diversi interventi che hanno ridotto il carico fiscale spesso a scapito dell’equità del prelievo e della sua capacità redistributiva”, sottolinea l’Ufficio parlamentare di bilancio in un approfondimento contenuto nel Rapporto annuale, da cui emerge che “l’effetto negativo del drenaggio fiscale (ovvero l’incremento del prelievo per effetto dell’inflazione, ndr) nei dieci anni considerati più che compensa l’effetto positivo determinato dalle modifiche normative”. Dall’analisi condotta con il modello di micro-simulazione dell’Upb emerge che “per il complesso dei lavoratori dipendenti le modifiche normative hanno comportato una riduzione del prelievo di circa 3 punti percentuali, che viene tuttavia più che compensata dall’effetto del drenaggio fiscale, pari a circa 3,6 punti percentuali, con un saldo sul reddito disponibile negativo per circa 0,6 punti. Per i pensionati e gli autonomi entrambi gli effetti, della normativa e del drenaggio fiscale, sono di entità minore”. “A queste modifiche della struttura dell’imposta personale si è affiancata una progressiva erosione della base imponibile dell’imposta, che ha ridotto l’equità del prelievo e la sua capacità redistributiva”, evidenzia l’Upb, spiegando che “è stata sottratta alla progressività dell’Irpef una quota rilevante del reddito da lavoro autonomo, comportando una violazione del principio di equità orizzontale del prelievo, creando disparità di prelievo sia tra percettori di diverse tipologie di reddito (lavoratori autonomi e dipendenti), sia tra lavoratori autonomi”.
Occorre, in ogni caso, considerare che l’analisi dell’Upb non prende in considerazione il provvedimento di decontribuzione vigente nel 2024, cioè il taglio del cuneo che invece, per i redditi inferiori a 35.000 euro, “più che compensa l’incremento di imposta reale”.