Della situazione difficile del Credit Suisse si parlava da giorni. È stato però il rifiuto del suo principale azionista, la saudita Saudi National Bank (Snb), a fornirle ulteriore liquidità che ha fatto precipitare la situazione. Circostanza che ha indotto ha spiegato la stessa banca ad assumere un’azione “decisa per rafforzare preventivamente la sua liquidità con l’intenzione di esercitare la sua opzione di prendere in prestito fino a 50 miliardi di franchi svizzeri dalla Banca centrale elvetica”.
Credit Suisse viene fondata nel 1856 da Alfred Escher, politico e dirigente d’azienda, per finanziare lo sviluppo delle ferrovie svizzere, evidenziando un legame diretto con la produzione. Fatto non più scontato visto che il mondo bancario tende sempre più a far denaro senza la mediazione del processo di produzione.
Quella elvetica è oggi una banca globale con un marcato profilo speculativo. Che di svizzero ha ormai poco o nulla. Il socio principale è la Saudi National Bank (10%), seguono il fondo sovrano qatariota Qatar Holding, il fondo americano Dodge & Cox, la multinazionale del saudita Suliman Saleh Olayan (Olayan Group), la società di investimento di Chicago Harris Associated, il colosso statunitense BlackRock e la società Silcehester International basata a Londra. In pratica: 3 soci arabi, 3 statunitensi e 1 britannico.
Negli ultimi anni, l’istituto ha privilegiato le attività di investment banking ad alto rischio a scapito dei servizi e del private banking che hanno portato al buco di 7,3 miliardi di franchi dichiarato a chiusura dell’esercizio 2022.
Ricerca del profitto ad ogni costo, ignorando i segnali di pericolo che già da alcuni anni giungevano al management dell’istituto elvetico. In mezzo, una serie di scandali (dallo spionaggio al riciclaggio di denaro derivante dal traffico di droga; dall’inchiesta ‘Suisse Secrets’ alla storia dei prestiti al Mozambico poi finiti in un traffico d’armi e nelle maglie della corruzione).
La questione centrale ora è: il disastro di Credit Suisse può contagiare le banche dell’Unione? La risposta è ‘sì’ anche perché il problema non riguarda soltanto l’esposizione diretta con il ‘malato svizzero’. Stando ai dati dell’Autorità bancaria europea (Eba), le banche Ue hanno in pancia oltre 3mila miliardi di euro di titoli di stato. Titoli il cui valore adesso è sceso per effetto del consistente rialzo dei tassi d’interesse.