La riduzione della partecipazione al lavoro è stata documentata da più parti già a partire dalla crisi finanziaria del 2009. Molti di coloro che avevano perso il lavoro durante quella crisi non tornavano a cercarlo attivamente. Lo stesso fenomeno, ancora più pronunciato, è stato osservato dopo la pandemia (processo definito negli Stati Uniti ‘Great Resignation’).
Una soluzione di lungo periodo al problema si può trovare ovviamente solo nelle politiche del lavoro. Tuttavia, possono aiutare anche le politiche di breve periodo, come la politica monetaria. Non solo: sta diventando sempre più comune includere nel mandato delle banche centrali l’obiettivo di redistribuzione e una crescita proporzionata per tutti, incluse le minoranze.
Una parte di questa nuova prospettiva sulla politica monetaria è ispirata da una crescente letteratura accademica che include agenti eterogenei nella ricchezza in modelli macro con rigidità nominali volti a studiare la politica monetaria. Attraverso di essi è possibile analizzare il trade-off tra la crescita e la disuguaglianza e conformare, di conseguenza, la politica monetaria.
Finora, tuttavia, questi modelli, così come le analisi fatte nelle banche centrali attraverso di essi, assumevano che l’eterogeneità del reddito fosse esogena, cioè assunta a priori e non determinata nel mercato del lavoro. Le analisi si sono concentrate soprattutto sulla disuguaglianza nella ricchezza, che risultava dalle scelte di risparmio.
In quest’ottica, sono le fasce più ricche che contribuiscono di più alla tendenza del ciclo economico con i loro consumi: una politica monetaria espansiva fa salire il valore delle attività finanziarie, che sono detenute dalla percentuale di lavoratori che guadagna di più. La crescita della loro ricchezza fa poi salire il loro consumo che contribuisce alla crescita economica. Su queste basi, lo studio del meccanismo di trasmissione della politica economica si concentrava sul suo impatto sulle classi più ricche.
I dati, tuttavia, mostrano che anche la disuguaglianza di reddito sta crescendo assieme a quella della ricchezza. Dunque, lo studio della trasmissione del meccanismo della politica monetaria deve tener conto anche della distribuzione del reddito. Inoltre, i dati mostrano che una gran parte dell’impatto della politica monetaria avviene sui salari e sulla partecipazione al lavoro delle classi impiegate in lavori meno pagati, e non su quelle più ricche.
In pratica, per tenere conto appieno delle conseguenze della politica monetaria per la distribuzione del reddito è necessario concentrarsi sulle sue conseguenze per i lavoratori a basso reddito e per la loro partecipazione al lavoro. Una restrizione monetaria fa aumentare infatti le uscite dal mercato del lavoro molto di più per i lavoratori a basso reddito. Allo stesso tempo questi lavoratori fanno più fatica a rientrare e a muoversi verso lavori migliori, la cosiddetta mobilità occupazionale.
Sorprendentemente, si vede pure che la politica monetaria restrittiva riduce la disuguaglianza salariale: il motivo sta nella selezione. Dato che molte delle persone a basso reddito escono dal mercato del lavoro e non vi rientrano, quelli che rimangono impiegati sono i migliori e la loro scarsità fa aumentare i salari, dunque la disuguaglianza scende.
Per comprendere appieno le conseguenze distributive e di crescita economica della politica monetaria quindi è necessario ampliare lo spettro delle considerazioni soprattutto per quel che riguarda le dinamiche del mercato del lavoro.
(Abbiamo qui riportato i passaggi principali di un articolo firmato da Ester Faia (Professore ordinario alla Goethe University Frankfurt; detiene inoltre una Chair in Monetary and Fiscal Policy) e pubblicato su lavoce.info).