Pesano di più le sedie occupate o quelle vuote all’Assemblea generale delle Nazioni Unite? Da Xi Jinping a Vladimir Putin, da Emmanuel Macron a Rishi Sunak, fino al premier indiano Narendra Modi. Pesa l’assenza (ingiustificata?) a New York dei leader di quattro dei cinque membri del Consiglio di sicurezza.
È stato lo stesso segretario generale Antonio Guterres a spiegare: “O si avvia la riforma delle Nazioni Unite o è la rottura, le istituzioni invece di essere la soluzione rischiano di diventare parte del problema”. Essere o non essere, il dubbio amletico assale le Nazioni Unite che sembrano non riuscire più a rispecchiare la transizione da un mondo unipolare (a stelle e strisce statunitensi) a uno multipolare con diversi centri di potere.
Come sottolinea la rivista francese ‘Le Grand Continent’, nelle votazioni all’Assemblea generale negli ultimi trent’anni soltanto il 14 per cento degli Stati ha votato con gli Stati Uniti mentre la grande maggioranza dei consensi è stata raccolta da proposte russe e cinesi.
Anche rispetto ai propri obiettivi l’Onu appare in difficoltà, anche se resta, nonostante tutto, l’organizzazione internazionale più importante al mondo. L’agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile è ad esempio solo in minima parte in linea con i traguardi prefissati entro la fine del decennio: l’85 per cento dei piani è in ritardo. Lo stesso Guterres evidenzia che nel mondo ci sono 600 milioni di persone in estrema povertà, mentre rispetto alle guerre l’Onu appare in ritirata diplomatica e militare (dall’Ucraina al Sahel).
Nel frattempo, il Global South chiede di contare di più. L’obiettivo dell’Assemblea quest’anno è evitare che la spaccatura nord-sud diventi ancora più profonda. Il punto nodale riguarda l’attuale configurazione del Consiglio di Sicurezza Onu. C’è un punto su cui la stragrande maggioranza degli Stati è concorde: modificare e ampliare la rappresentanza nel Consiglio oggi formato da Cina, Francia, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti, Stati con potere di veto.
Le proposte di riforma che si sono succedute negli anni spaziano da quelle che suggeriscono l’attribuzione del diritto di veto a nuovi membri permanenti (in particolare i cosiddetti G4: Brasile, Germania, Giappone e India), a progetti incentrati su un aumento più o meno consistente di membri non permanenti. Qualcosa al Palazzo di vetro dovrà cambiare, prima che sia troppo tardi.