La Turchia ha un impero africano. Lontano dalle direttrici più appariscenti della geopolitica ottomano-repubblicana – Balcani, Mar Nero, Caucaso, Medio Oriente, Mediterraneo orientale –, Ankara sta progressivamente recuperando lo status di grande potenza, che nel Continente Nero è ormai una realtà.
Lo conferma da ultimo la trasferta anatolica di Abdel Fattah al-Sisi, la prima di un presidente egiziano dal settembre 2012. L’incontro tra Recep Tayyip Erdoğan e il suo ex rivale regionale numero uno ha avuto una rilevante dimensione bilaterale e regionale.
Ma il cuore della nascente intesa tattica turco-egiziana è lo spazio compreso tra la Tripolitania e la Somalia, un arco di instabilità che angoscia l’Egitto e nel quale invece la Turchia intravede straordinarie opportunità geopolitiche.
Tanto che a indurre al-Sisi ad accelerare la normalizzazione delle relazioni con Erdoğan è stato proprio l’accordo stretto a inizio anno da Etiopia (paese che l’Egitto cerca di contenere) e Somaliland, in base al quale la prima si propone di ottenere un affaccio sul Golfo di Aden e il secondo cerca il riconoscimento della propria indipendenza.
Le poste in gioco sono molteplici: sfruttamento delle ingenti risorse energetiche libiche, delimitazione delle frontiere marittime, accesso turco alle profondità africane, difesa dell’instabile frontiera orientale egiziana.
Turchia ed Egitto non puntano a cristallizzare l’attuale partizione tra Tripolitania e Cirenaica, ma a ricreare una parvenza di Stato libico (ora relativamente fuori dai radar di Francia, Russia ed Emirati, nonché da quelli americani) sul quale esercitare una coordinata influenza egemonica.