Nell’ultimo meeting della Nato, a Bruxelles, il 24 e il 25 ottobre sul tavolo c’era ovviamente la questione più scottante al momento: l’attacco turco contro i curdi-siriani.
Gli Stati Uniti hanno difeso il loro operato teorizzando uno scambio “vantaggioso”, terra contro petrolio, per i curdi, offrendo loro protezione nell’area in cui dovrebbero ricollocarsi, a est della Siria, vicino al confine con l’Iraq, in una zona ricca di giacimenti petroliferi.
Dal canto loro, gli Stati europei non hanno espresso una posizione univoca e si sono divisi sostanzialmente in tre gruppi. Da un lato, piuttosto isolata, la Francia, la più determinata nell’accusare la Turchia non solo di violazione dei diritti umani. Dall’altro, i paesi baltici e dell’Est, pronti ad accettare tutte le richieste turche. In mezzo, chi voleva salvare l’onore e allo stesso tempo evitare rotture sia con la Turchia, sia con gli Stati Uniti, ovvero la maggior parte dei paesi europei.
L’attacco sferrato da Erdogan pone un’altra questione: che senso ha, a trent’anni dalla caduta del Muro, un sistema di difesa dell’Occidente? Ovviamente la demonizzazione della Russia è stata ed è tuttora funzionale allo scopo. Soprattutto dopo che Mosca ha venduto (recentemente) ad Ankara il sistema missilistico di difesa.
Quindi è la Russia il problema della Nato? O è qualcosa interno all’Organizzazione? Ovvero la Turchia, unico paese non democratico dell’alleanza, il quale gioca partite sue nello scacchiere internazionale e mediorientale senza tener conto degli alleati.
Per la Nato è forse giunto il tempo di un ripensamento che riguarda, allo stesso tempo, anche l’Europa.