Siamo ormai allo scontro diretto. Non solo in Ucraina, visto che in Europa saltano i gasdotti (il riferimento è al Nord Stream 1). Russia e Stati Uniti pensano entrambi di avere il tempo a proprio favore e che l’altro sia vulnerabile. Fiutano le rispettive debolezze e rilanciano. Sul campo di battaglia, gli statunitensi ormai fanno tutto fuorché sparare e morire; i russi invece chiamano Russia i territori occupati per dirsi attaccati dall’Occidente.
La guerra è entrata in una nuova fase. Gli inaspettati successi tattici ucraini accelerano la prospettiva di un collasso dell’esercito russo. Ma s’impenna anche il rischio che Mosca usi le armi nucleari. Vladimir Putin ha alzato la posta in gioco. In particolare, ha alzato un muro a protezione di quanto conquistato sinora, per evitare una ‘Caporetto’. Questo il senso del triplice annuncio di settembre: mobilitazione per presidiare il fronte con centinaia di migliaia di uomini in più; annessione tramite referendum farsa; estensione dell’ombrello nucleare alle nuove terre di Russia con minaccia di impiegare ordigni atomici.
Nel frattempo, Washington cerca di evitare lo scontro diretto con Mosca. Vuole dissanguare la Russia e renderla inservibile per la Cina, non farsi strumento degli ucraini (che intanto rischiano di vedersi privati dei servizi di base con l’avvicinarsi dell’inverno a causa degli attacchi russi che hanno messo fuori uso un terzo delle centrali elettriche). Lo scontro vero è con Pechino. Ma se Putin usa le armi atomiche, allora salta tutto.
In tale contesto il Vecchio Continente gioca un ruolo chiave e resta una sorta di ancora di salvataggio per gli Stati Uniti, che vedono sgretolgarsi lentamente il loro potere egemone sul mondo. E per questo stanno progressivamente aumentando la loro pressione geopolitica ed economica sui paesi europei.