La Knesset (parlamento monocamerale) ha approvato a larga maggioranza – 68 voti favorevoli, 9 contrari – una risoluzione che suggella l’opposizione di Israele all’istituzione di uno Stato di Palestina.
Già a febbraio l’assemblea aveva approvato un documento simile, ma con una sostanziale differenza: in quel caso si esprimeva contrarietà alla costituzione di uno Stato in via unilaterale, cioè in assenza di negoziati diretti con le autorità israeliane.
Questa volta l’opposizione è totale. Inoltre, non si tratta solo di un’iniziativa del governo di Binyamin Netanyahu. La proposta è, infatti, stata presentata anche dal partito Nuova Speranza fondato da Gideon Sa’ar, che in passato è uscito dal Likud in polemica con l’attuale primo ministro.
La risoluzione è, inoltre, stata approvata anche da Benny Gantz e da tre parlamentari del suo partito, la più consistente delle forze politiche ostili a Netanyahu. Persino il partito centrista di Yair Lapid non ha votato contro la mozione, preferendo l’astensione.
Gli unici a votare contro sono stati i laburisti, il partito arabo Hadash-Ta’al e il partito arabo islamista Ra'am.
Tutto ciò chiarisce un quadro che affonda le proprie radici nel passato remoto. Per Israele e gli israeliani la Palestina come paese non esiste, nel senso che non c’è mai stata nella storia (secondo la visione israelitica).
Anche volendo, in casi come questi, non c’è anche un chiaro contraltare con cui negoziare nell’ottica degli israeliani: in un certo senso, per loro, non esistono neanche i palestinesi, intesi come popolo. Messa così, allora la Cisgiordania e Gaza sarebbero delle terre ingiustamente occupate, che andrebbero liberate. Una teoria stramba, che offre una rilettura della storia al contrario.