Nell’ultimo decennio nell’Ue sono stati registrati14 milioni di migranti di cui 6 milioni in Germania, 2 in Spagna, e 1,5 in Italia. Non stupisce che nella prima economia europea, ora in difficoltà, la questione sia particolarmente sentita e, in qualche modo, correlata alla recente esplosione delle formazioni politiche di estrema destra.
Avere lavoratori con basse competenze e a basso costo, oltreché privi quasi sempre di tutele sindacali e sociali, significa d’altronde poter contare su un “esercito di riserva” sempre disponibile (nel caso italiano basti guardare allo sfruttamento nel settore dell’agricoltura e non soltanto).
L’immigrazione cosiddetta illegale va così ad ingrassare l’esercito di riserva e deprime il costo del lavoro, alimentando una concorrenza al ribasso tra lavoratori. La questione nel Vecchio continente riguarda soprattutto i lavoratori a medio-basse competenze, il che va a foraggiare un conflitto tra europei e immigrati.
Volere regolare l’immigrazione non è sinonimo di xenofobia, anzi va a spezzare quel legame perverso che si autoalimenta tra politiche (apparentemente) anti-immigratorie e sfruttamento dei lavoratori, cercando così di prevenire o quantomeno limitare la paura del diverso.
In sintesi, visto che una quota di immigrazione è indispensabile anche per motivi demografici ed economici, non è forse giunto il momento di introdurre criteri ragionevoli e funzionali per regolarla?