L’ipotesi di un governo tecnico al posto di quello democraticamente eletto di Giorgia Meloni paventata da due giornali in particolare va oltre la “manovra mediatica”. Alessandro Sallusti nel corso della puntata di venerdì 29 settembre di ‘Stasera Italia’ non ci gira intorno. La premier da Malta ha commentato con i giornalisti che un ritorno dei professori a causa del rialzo dello spread “fa sorridere”. “Siamo in presenza” di un’operazione (secondo Sallusti) “che è qualcosa di più che una manovra soltanto mediatica perché a sostenere che lo spread è fuori controllo, andando contro la verità dei fatti, e a chiedere e a ipotizzare un governo tecnico sono due giornali, la Stampa e la Repubblica”.
E, poi, l’affondo: “Qual è la particolarità di questi due giornali? Che hanno lo stesso editore, la famiglia Agnelli-Elkann che rappresenta evidentemente e da sempre interessi contrapposti a quelli di questo governo”. Sallusti rincara la dose e parla anche di De Benedetti: “Ci sono due gruppi editoriali di ricchi signori miliardari che hanno trasferito le loro attività finanziarie all’estero e scatenano i loro giornali per far credere agli italiani che il paese sta crollando”. Infine, l’esortazione: “Tornino in Italia a dare il loro contributo al paese invece di stare in Svizzera e in Olanda”.
Carlo Calenda, leader di Azione, invece usa l’ex Twitter per il suo attacco: “C’è in Italia un’alleanza tra populismo sindacale e populismo politico – coperto da giornali di sinistra ma solo quando essere di sinistra non tocca gli interessi del loro editore – che impedisce di affrontare seriamente i processi di trasformazione industriale. Non è problema di oggi. Ma è un problema che oggi sta esplodendo ovunque. Chiudere gli occhi e far finta di nulla non aiuterà le imprese, i lavoratori e il paese. Le dichiarazioni entusiaste sull’acciaio green di Stato (Zingaretti); le finte cordate italiane per Alitalia; le garanzie date al buio agli Elkann per pagarsi i dividendi (Conte–Gualtieri); l’incapacità di esercitare la golden power non per proibire ma per regolare le cessioni. Tutto questo è indice di incompetenza, pressappochismo e debolezza della politica e di una parte del sindacato. E basta guardare la traiettoria di carriera personale dei leader sindacali – che finiscono regolarmente nelle liste elettorali del PD – per comprendere quanta poca indipendenza dalla politica sia rimasta nelle organizzazioni dei lavoratori”.
E conclude: “È tempo di dire le cose come stanno per quanto spiacevoli possano essere. Andare alla Marelli senza dire una parola sulla desertificazione dell’ automotive ma chiedendo solo un generico “intervento del governo” e senza affrontare la questione della fuga dall’Italia e dai fornitori italiani di Stellantis, come fatto dalla Schlein è un comodo alibi. I grandi paesi non lavorano così. E accanto a una politica energetica, industriale (4.0) e di formazione e ricerca per le imprese, esiste la necessità di un confronto con i grandi gruppi senza timori o complessi di inferiorità; che posseggano o meno dei giornali o delle Tv. Lo dobbiamo ai lavoratori e ai cittadini”.