Il 90% di quelli che nascono poveri muoiono poveri e il 90% di quelli che nascono ricchi muoiono ricchi. Da ciò si deduce che il merito non ha alcun valore.
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Spesso si parla di meritocrazia e ascensore sociale. Con una semplice frase di poche parole l’economista Joseph Stiglitz riassume il concetto base: “Il 90% di quelli che nascono poveri, muoiono poveri, per quanto intelligenti e laboriosi possano essere, e il 90% di quelli che nascono ricchi muoiono ricchi, per quanto idioti o fannulloni possano essere. Da ciò si deduce che il merito non ha alcun valore”. Pensiero che nella sua disarmante semplicità è difficile da contrastare.
Si può, invece, aggiungere qualcosa. La meritocrazia è di fatto un sistema che fa emergere la casta degli autoproclamati “migliori” e che ne consolida il potere. Ne discende una prima possibile critica alla società meritocratica: il merito senza pari opportunità consolida il privilegio perché chi nasce più ricco ha un vantaggio iniziale che generalmente aumenta nel tempo; tuttavia, un’altra più sottile ma importante critica riguarda la definizione e la misura del “merito”.
Il problema è come misurare la “bravura”. Come ha sottolineato il paleontologo Stephen J. Gould, il quoziente di intelligenza non misura l’intelligenza, ma solo la capacità di risolvere rapidamente una serie di problemi di un determinato tipo. Per misurare l’intelligenza in modo affidabile, bisognerebbe prima definirla in modo inequivocabile, ma è molto discutibile che esista un solo modo per farlo.