Da qualche anno si discute del ritiro della democrazia e all’ascesa dell’autoritarismo nel mondo occidentale. Esempi non mancano. Dal primo ministro ungherese Viktor Orbán all’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro e all’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, abbiamo un elenco crescente di autoritari e aspiranti autocrati che incanalano una curiosa forma di populismo.
Quelli appena indicati sono nomi istrionici e tutti di centro-destra. Al loro fianco ci sono poi alcuni partiti emergenti di estrema destra (come in Francia e Germania). E poi tutti gli altri che aspettando Godot si illudono forse ancora di trovare una sintesi di politica economica che non sia una brutta copia di un qualche programma neoliberista (volendo vincere facile, basta ricordare che in Italia le privatizzazioni, la trasformazione del sistema previdenziale, l’introduzione della flessibilità selvaggia nel mercato del lavoro, la riforma del titolo V della Costituzione portano tutte la stessa firma, quella del centro-sinistra).
Messi i puntini sulle i sulle responsabilità politiche più o meno recenti rispetto all’erosione della democrazia nel mondo occidentale, resta un dubbio, tra gli altri, sul tappeto. In realtà è per molti un vero e proprio incubo che prende il nome di disuguaglianza.
È così che la disuguaglianza economica porta inevitabilmente alla disuguaglianza politica, anche se in misura diversa da paese a paese. Ad esempio negli Stati Uniti, che non ha praticamente alcun vincolo sui contributi elettorali, il principio “una persona, un voto” si è trasformato in “un dollaro, un voto”.
Questa disuguaglianza politica si autoalimenta e porta a politiche che rafforzano ulteriormente la disuguaglianza economica. Le politiche fiscali “premiano” i ricchi, il sistema educativo favorisce i già privilegiati, e una regolamentazione antitrust non adeguatamente progettata e applicata tende a dare alle aziende libero sfogo nell’accumulare e sfruttare il potere di mercato.
Inoltre, poiché i media sono dominati da società private possedute da plutocrati come Rupert Murdoch, gran parte del discorso mainstream tende a radicare le stesse tendenze. Ai consumatori di notizie è stato quindi da tempo detto che tassare i ricchi danneggia la crescita economica, che le tasse di successione sono imposte in caso di morte e così via.
Si tratta di tesi smentite largamente dalla letteratura scientifica. Eppure, sono questi i programmi elettorali premiati dal popolo votante che sembra accettare di voler esser preso in giro. La disuguaglianza aumenta, ma chi la subisce non reagisce. Perché cambiare un sistema (autolesionistico) che sembra funzionare?