È da decenni che i paesi del Medio-Oriente e del Nord Africa (Mena) costituiscono una delle regioni con più conflitti – e più cruenti – al mondo. Perché tante guerre in un’area che gode di una straordinaria centralità geografica, è ricca di risorse naturali ed è stata culla di millenarie civiltà, da quella egiziana e assiro-babilonese a quella persiana e ottomana?
Nel suo ultimo rapporto, l’Institute for Economics & Peace ci ricorda che, per il nono anno consecutivo, i paesi Mena risultano i meno pacifici al mondo. A pesare sono il numero dei conflitti in corso e delle vittime, nonché l’ammontare delle spese militari e la qualità delle relazioni con i paesi confinanti. Così, da tempo, la regione ha superato i martoriati paesi sub-sahariani, tradizionalmente i più sanguinosi al mondo.
Alla stessa conclusione arriva la Banca Mondiale, utilizzando i dati dell’Uppsala Conflict Data Program (Ucdp): negli ultimi quindici anni la frequenza, la gravità e la diffusione dei conflitti armati esplosi nei paesi Mena è aumentata esponenzialmente.
In particolare, nei paesi arabi il numero medio annuale di episodi violenti significativi è passato da venti, a cavallo dello scorso secolo, a cinquantadue nell’ultimo decennio, mentre il numero medio di vittime è sestuplicato e rappresenta il 38 per cento dei morti in guerra di tutto il mondo. Tra il 2012 e il 2016, la percentuale è addirittura salita al 66%.
Impressionante è pure il numero di paesi coinvolti nei conflitti armati, poiché negli ultimi quattro anni ben dodici dei diciannove paesi che compongono la regione sono stati coinvolti in eventi bellici. Ancora oggi nove nazioni sono terreno di battaglia: Iraq, Iran, Libia, Libano, Yemen, Siria, Somalia, Sudan, West Bank e Gaza.
Il costo di questi conflitti, ovviamente, trascende l’ambito economico, poiché la perdita di vite umane e la disgregazione sociale risultano incommensurabili. Ciononostante, possiamo stimare i costi economici sia nel breve periodo che in termini di mancato sviluppo.
Stime controfattuali effettuate dalla Banca Mondiale suggeriscono che il reddito pro-capite nei paesi Mena coinvolti nei conflitti avrebbe potuto essere in media del 45% più alto senza le violenze; la percentuale sale addirittura al 90% in paesi come la Siria.
Insomma, la pace è una precondizione per lo sviluppo economico, mentre situazioni di conflitto persistente possono annullare decenni di progressi. Il dramma è che un basso livello di reddito peggiora la qualità delle istituzioni, i livelli di corruzione, il crimine e la violenza, le disuguaglianze, la fame e per queste vie aumentano le probabilità di futuri conflitti.