L'India è cresciuta del 7,2% nell'ultimo trimestre 2017. Una buona notizia perché si interrompe una scia di aumenti più contenuti nei due trimestri precedenti, tra il 5 e il 6 per cento e perché consente di chiudere il 2017 con un Pil in aumento del 6,6. Molto? No, poco, sia perché il 2016 si era chiuso meglio, al 7,5%, sia perché, come aveva spiegato il ministro delle Finanze Arun Jaitley "l'India che cresce al cinque, sei o sette percento non è un'India che sta affrontando la sfida della disoccupazione giovanile".
Ecco il problema numero uno dell'India: crescere per poter inglobare un milione di giovani che ogni mese si affaccia sul mercato del lavoro. In più il governo di Modi ci si è messo di suo a frenare lo sviluppo: non fa le riforme o ritira quelle che potrebbero favorire le imprese. C'è divieto per le imprese con più di 100 dipendenti di licenziare se non con consenso di funzionari governativi. E' stata ritirata la proposta di innalzare quel tetto ad aziende con 300 dipendenti. Oppure, se fa le riforme, le fa dannose, come quella di introdurre da un giorno all'altro un limite al possesso di contanti.
In più Modi non ha ancora chiuso la pesante partita delle sofferenze bancarie, nonostante alcune buone dismissioni tramite aste. Ma soprattutto conosce un solo modo per alimentare la ripresa: aumentare la spesa pubblica. Nel 2017 è salita dell'11% sull'anno, il che ha portato il deficit al 7% del Pil, uno dei livelli più alti nel G20. In più il ritorno dell'inflazione potrebbe spingere la banca centrale a stringere sui tassi, soffocando l'economia. E per Modi, ma sopratutto per l'India, l'appuntamento con la crescita a due cifre è rimandato.