Regolamentare e limitare la presenza dei giornalisti in tv durante la campagna elettorale per le Europee. È quanto proposto dalla vicepresidente della Vigilanza, Maria Elena Boschi, con un emendamento alla delibera della commissione parlamentare sulla Rai chiamata ad adottare le disposizioni dell’Autorità garante delle Comunicazioni.
In pratica, Boschi propone una sorta di “par condicio” in Rai per i giornalisti schierati”. Argomenta la sua tesi che punta a regolamentare gli opinionisti con queste parole: “Espongono le stesse idee delle forze politiche”. Ma l’Agcom frena la proposta della vicepresidente della commissione di Vigilanza: “Non si può irreggimentare tutto”.
Torniamo al principio. Quando sostiene che i giornalisti sono spesso schierati dal punto di vista partitico, Boschi mette in realtà il dito nella piaga. In effetti, è così. Quasi sempre quando sono chiamati ad intervenire nei talk perlopiù politici, finiscono sovente per svestire i panni del giornalista per indossare quelli di avvocato difensore del proprio partitino di riferimento. La responsabilità non può certamente essere addossata solo alla categoria giornalistica (che è un ingranaggio, seppur importante, del sistema).
La ‘colpa’ va ricercata anche nelle scelte adottate dagli autori dei programmi televisivi che puntano (anche per tutelare gli interessi degli editori, pubblici o privati che siano) a riproporre il solito schemino in cui intrappolare tutte le possibili opinioni. O, meglio, quelle considerate accettabili. Così facendo, il giornalismo diventa lo specchio non tanto della politica quanto dei partiti rappresentati nell’arco parlamentare. Altro che “cane da guardia”, così come viene definito il buon giornalismo nell’approccio anglosassone.
Dunque, la questione sollevata da Boschi esiste eccome. Il problema è la soluzione: nel caso della Rai, invece che (come proposto da Boschi) fossilizzare la situazione attuale (che finisce per imprigionare nella lottizzazione importanti, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, risorse umane su cui la Tv pubblica può contare), si dovrebbe recidere il più possibile l’influenza diretta del governo di turno, cominciando dall’abolizione della commissione di Vigilanza e istituendo una fondazione, così come fatto con buoni risultati dalla Bbc nel Regno Unito. Non si elimina in tal modo il problema alla radice (ovvero l’influenza dei partiti resta), ma si attenua sensibilmente.
Detto ciò, sebbene il buon giornalismo dovrebbe destreggiarsi analizzando quanto accade con un certo grado di obiettività, il problema non risiede nel fatto che gli opinionisti abbiano un’opinione (e quindi magari un’idea politica), bensì nel fatto che troppo spesso la loro opinione non è liberamente formata, ma mediata dalla classe politica. È questo che manda in corto circuito il sistema, azzerando o quantomeno limitando fortemente la funzione giornalistica.