
“C’è chi mi ha definito una nazionalista occidentale. Non so se sia il termine giusto ma sono convinta che dobbiamo parlarci francamente, esprimere chiaramente le nostre esigenze e trovare la maniera migliore per rafforzarci entrambi”. Attorno al tavolo delle trattative, Giorgia Meloni è ripetutamente tornata su quello che è sembrato essere il concetto preventivamente focalizzato nel “prep” che ha preceduto il vertice.
Obiettivo, minimizzare i contrasti e spingere la narrativa degli alleati che dirimono un malinteso passeggero, destinato a non intralciare una convergenza inscalfibile di interessi. L’effetto è stato appunto quello di battute preparate per una rappresentazione pubblica con poca attinenza al caos globale innescato dalle montagne russe dei dazi su cui Donald Trump ha caricato a forza i mercati internazionali.
La premier che i media statunitensi hanno battezzato “la donna che sussurrava a Trump” ha fatto del suo meglio per aderire al copione e incarnare il personaggio assegnatogli dalla stampa di casa, ovvero rappresentante sì dell’Italia, ma inviata speciale in realtà dell’Europa intera che l’ha selezionata per deflettere il ricatto di Trump.
“La premier ha preparato il viaggio in stretto coordinamento con la Commissione di Ursula von der Leyen», ha scritto la Pbs (la tv pubblica statunitense), mentre la Cbs ha decritto il viaggio di Meloni come “prima mossa di una controffensiva europea” nella guerra dei dazi, affidata alla premier italiana in virtù della naturale affinità che vede i due leader “parlare la stessa lingua”.
“Faremo buoni accordi con tutti”, ha assicurato il presidente, “compresa la Cina, vedrete. Nessuno può competere con noi”. La pratica cinese, in particolare, è però ancora tutta da verificare.
La versione della Casa bianca è che i mega dazi avranno l’effetto di isolare Pechino. Non mancano però gli economisti che credono che potrebbero essere piuttosto gli Stati Uniti a tagliarsi fuori da un’economia globale in cui la Cina potrebbe subentrare come partner privilegiato.