Un anno passato in ‘coma farmacologico’. È così che è andata in Tunisia, da quando il presidente Kais Saied ha paralizzato la vita politica assumendo i pieni poteri e in seguito chiudendo il parlamento, governando per decreti e annunciando che avrebbe presentato al popolo un progetto di nuova costituzione.
La sera del 30 giugno la bozza della nuova carta è stata pubblicata. Se sarà approvata con un referendum, trasformerà in un regime presidenziale la Tunisia (il paese nordafricano può contare su una popolazione di circa 12 mlioni di abiitanti e un pil pro-capite di 3500 dollari, valore sceso di 1000 dollari in un decennio, come riporta My Data Jungle).
La costituzione di Saied è in qualche modo l’antitesi di quella del 2014, prodotta da un’assemblea costituente eletta succcessivamente alla rivoluzione del 2011 e basata su un equilibrio tra i poteri. Ma quando un anno fa Saied ha sospeso la costituzione, la sua mossa è stata accolta con esultanza da una parte di tunisini che rifiutavano un sistema politico democratico ma inefficace, e in particolare modo il partito islamista Ennahdha, al centro dei meccanismi politici.
È comunque possibile che Saied perda il referendum? Il rischio in effetti appare minimo, anche perché sta emergendo l’indifferenza di buona parte della popolazione, che chiede soprattutto soluzioni alla crisi economica e sociale.
Il presidente, con il suo conservatorismo culturale e sociale, fa riferimento ai valori tradizionali della Tunisia profonda. Non è un laico, ma un musulmano conservatore, contrario all’islam politico dei Fratelli musulmani, a cui preferisce l’islam culturale di cui la sua costituzione è impregnata, che sta portando la Tunisia in una direzione diversa da quella seguita nell’ultimo decennio: alcuni temono il peggio, cioè il ritorno della dittatura.