Dopo la frenata a Bruxelles, il premier Draghi rilancia l’obiettivo di arrivare ad un tetto sul prezzo del gas. E lo fa di fronte agli altri leader del G7: “Dobbiamo eliminare per sempre la nostra dipendenza dalla Russia”, dice senza mezzi termini aggiungendo che “anche quando i prezzi dell’energia scenderanno, non è pensabile tornare ad avere la stessa dipendenza della Russia che avevamo”.
La proposta necessita di essere valutata nei “dettagli”, ha sottolineato il presidente del Consiglio europeo Michel, spiegando che “la misura deve colpire la Russia e non i Paesi europei”, ipotizzando che un tetto al prezzo possa essere imposto utilizzando come leva i servizi di trasporto e quelli assicurativi.
Dalle Alpi bavaresi, dove domenica si è aperto un G7 all'insegna del sostegno all’Ucraina, i capi di Stato e di governo discutono di economia globale, rilanciando un piano di investimenti nei paesi in via di sviluppo in chiave anti-Cina, oltre a ribadire la necessità di affrontare il tema dell’inflazione, della sostenibilità fiscale, e dell’imminente crisi alimentare.
Occorre “mitigare l’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia, compensare le famiglie e le imprese in difficoltà, tassare le aziende che fanno profitti straordinari”, è la ricetta di Palazzo Chigi. Ma il presidente del Consiglio vede un pericolo all’orizzonte: bisogna evitare - ammonisce - gli errori commessi dopo la crisi del 2008, la crisi energetica non deve produrre un ritorno del populismo. E comunque “porre un tetto al prezzo dei combustibili fossili importati dalla Russia - argomenta - ha un obiettivo geopolitico oltre che economico e sociale”.
Ridurre la dipendenza energetica dalla Russia è una buona idea, ma sarebbe ancora più intelligente non essere dipendente da alcun paese. Ad esempio, liberarsi dalla dipendenza da Mosca per passare a quella da Algeri non risolve il problema (visto che in entrambi i paesi vige l’autocrazia).
Nella dichiarazione di Draghi c’è poi un secondo problema: quando dice “per sempre” il premier lascia intendere che il problema non è solo l’oligarchia guidata da Vladimir Putin. Al di là della dipendenza energetica, parole di questo tenore rischiano di recidere defintivamente i rapporti economici e culturali con un paese importante e con il quale l’Europa non può permettersi di restare ai ferri corti a tempo indeterminato.
C’è, infine, un atteggiamente ipocrita da parte di molti paesi europei che, con una mano, forniscono miliardi di euro in armi pesanti all’esercito ucraino perché sconfigga quello russo. Con l’altra, acquistando energia, finanziano il regime di Vladimir Putin, il quale a sua volta destinerà buona parte delle entrate per pagare la sua guerra contro l’Ucraina.
E i numeri sono roboanti. Dall’inizio del conflitto i Paesi dell’Unione hanno pagato 62 miliardi a Putin, nella speranza di riempire nel più breve tempo possibile gli stoccaggi prima che l’amico-nemico presidente della Russia decida di staccare la spina, salvo poi magari riattaccarla quando sarà siglata una tregua tra Mosca e Kiev, fatto che indurrà probabilmente i mercati a ridurre sensibilmente le quotazioni del gas.
Il comportamento del Vecchio continente fa tornare alla mente il detto: “Bastone e carota…”. Altro che ridurre la dipendenza ‘for ever’.