Nelle ultime venticinque più importanti crisi internazionali (dalla guerra in Corea all’invasione russa dell’Ucraina), dopo una limitata caduta iniziale, che prosegue per qualche settimana, le borse si sono sempre riprese rapidamente. Ma i mercati tendono a razionalizzare i problemi e a valutarne l’effettiva portata? Oppure sono miopi, hanno una visione troppo di breve termine e sono incapaci di prevedere il futuro?
In linea generale, le recenti analisi riconoscono come le più forti tensioni geopolitiche portino a maggiore frammentazione economica e finanziaria che, tra l’altro, causa: riduzione del commercio, maggiore volatilità dei prezzi, minori investimenti diretti dall’estero, crescita economica inferiore e maggiore inflazione, più incertezza, minor offerta di beni pubblici globali come la lotta al cambiamento climatico e alle pandemie, destabilizzazione del sistema monetario internazionale e dei pagamenti.
Seppure oggi i meccanismi di trasmissione della frammentazione risultino meglio definiti, le stime e il loro valore predittivo risultano ancora quanto mai incerte. Una recente rassegna svolta dal Global Financial Stability Report del Fmi mostra come le stime degli effetti delle tensioni geopolitiche sulla crescita mondiale oscillino, a seconda delle ipotesi, fra l’1,5 e il 12 per cento.
In altri termini, è ora davvero difficile fare previsioni in un mondo dove la distribuzione di probabilità è diventata, come dicono gli statistici, sempre meno normale e sempre più multimodale con code piatte dove gli eventi estremi sono più probabili. Meglio, dunque, limitarsi a fare scenari con una certa probabilità e attendere: come scriveva Eduardo de Filippo in Napoli Milionaria, “Ha dda passà ‘a nuttata”.