In Russia, ora c’è un campo “lealista” e un campo “ribelle” che più che alla guerra civile sembra mirare direttamente al colpo di Stato.
Sabato 24 giugno, l’ammutinamento guidato da Evgenij Prigozhin e dalla sua milizia Wagner, costituita da 25mila uomini, ha preso il controllo di una città di un milione di abitanti, Rostov sul Don (che si trova a 950 chilometri da Mosca), facendo precipitare la Russia in un enorme buco nero.
Poi, in serata, è arrivato l’annuncio di Prigozhin che ha fermato l’avanzata verso Mosca; il convoglio era arrivato a 200 chilometri dalla capitale russa: “Evitiamo spargimenti di sangue”, ha detto.
Ma anche se la minaccia militare interna sembra per ora rientrata, un fatto preoccupante per il Cremlino è che Prigozhin non ha avanzato alcuna richiesta specifica.
Il che fa emergere il costo politico della mossa del capo della Wagner per Putin, che appare ora decisamente più debole e vulnerabile. Anche perché per guardarsi alle spalle rischia di lasciare meno coperto il fronte ucraino.
Nel frattempo, Prigozhin sembra aver voluto inviare un chiaro messaggio a Putin: per la successione all’attuale inquilino del Cremlino lui c’è. Ed è l’unico, tra i possibili rivali, che può contare su un esercito privato.