La vicenda giudiziaria di Carlos Ghosn, ex numero uno della Nissan e della Renault, resta ingarbugliata. Con il secondo mandato di arresto scattato il 21 dicembre la posizione del padre della più grande alleanza automobilistica al mondo si complica. E si tinge di giallo.
Ghosn è stato arrestato una prima volta il 19 novembre a Tokyo con l’accusa di non aver comunicato al fisco nipponico parte delle sue remunerazioni (40 mln) e di aver fatto uso improprio dei fondi nella disponilbilità del gruppo. E, poi, per colui che ha salvato la casa automobilistica giapponese quando era sull'orlo della bancarotta alla fine degli anni '90 è arrivato un nuovo mandato di custodia cautelare il 21 dicembre. L’accusa stavolta è di aver accollato al colosso dell’auto alcuni suoi investimenti in perdita per 17 milioni di dollari e di aver pagato 14 mln attingendo ai fondi aziendali ad un intermediario saudita nella speranza di rientrare dalla perdita. Ora rischia fino a 10 anni di reclusione e un’ammenda da 6,2 milioni. Intanto il tribunale di Tokyo ha accolto la richiesta del pubblico ministero di estendere il periodo detentivo di Ghosn, che resta dunque in carcere.
Dietro l’arresto di Ghosn, secondo numerosi media giapponesi, si cela tuttavia una guerra interna per il controllo del Gruppo che include Renault, Nissan e Mitsubishi. Le due aziende nipponiche hanno entrambe licenziato Ghosn come presidente dopo il suo primo fermo. Renault, invece, ha deciso di non rimuoverlo dall’incarico di ceo e nominare un vice amministratore delegato temporaneo per assumere la gestione dell'azienda.
Per alcuni osservatori, le accuse contro Ghosn sono state orchestrate per servire a Nissan su un piatto d’argento la possibilità di porre fine a un’alleanza dapprima salvifica e ora divenuta scomoda.
Ma facciamo un passo indietro. Renault detiene il 43% di Nissan, che a sua volta controlla il 15% di Renault (ma senza diritti di voto in Cda). Se agli inizi la casa francese ha “salvato” quella giapponese in crisi, ora la situazione si è ribaltata e Nissan è diventata più redditizia di Renault. A tal punto che il progetto di fusione spinto da Ghosn ha subito più di qualche resistenza in Giappone. Nissan ritiene di aver già ricompensato il produttore transalpino per averla aiutata agli inizi del nuovo millennio, mentre Renault non vuole perdere la gallina dalle uova d’oro, ovvero Nissan.
In realtà una rottura sarebbe dolorosa per entrambi. Ridurre le dimensioni aziendali significa non poter contare su economie di scala che invece sono determinanti soprattutto in questa fase di transizione all’elettrico e alla guida autonoma. E, pertanto, non poter competere con il n. 2 e 3 al mondo, ovvero Volkswagen e Toyota. Infatti, il n.1 con 10,6 milioni di veicoli venduti nel 2017 è proprio il colosso guidato da Ghosn fino a poche settimane fa.
La disputa è così passata da un livello aziendale a uno politico. Fino alla discesa in campo dei due premier: Shinzo Abe e Emmanuel Macron. Il primo vuole che Nissan torni a essere più giapponese (anche se nelle dichiarazioni ufficiali si mostra a favore dell'alleanza), il secondo prova a non perdere un treno che rischia di non ripassare a breve.