Siamo a Offanengo, meno di seimila anime. Il contesto è quello della Padania cremasca: capannoni industriali e commerciali intervallati da una miriade di borghi. Tra le tante fabbriche ce n’è una popolata da un’umanità che si presenta cosmopolita e multietnica. Perché, in effetti, all’anagrafe interna della Vhit (541 dipendenti) risultano almeno 25 nazionalità diverse. E a spiccare, tra tutte, è una piccola comunità indiana, 19 persone (12 di loro sono ingegneri).
La multinazionale cinese Weifu, che controlla la vecchia Bonaldi (fabbrica metalmeccanica nata nel 1958 e poi diventata Vhit) ha bisogno di ingegneri, soprattutto informatici, e fatica a trovarli nel territorio lombardo. E poiché l’azienda che produce componenti per la filiera dell’automobile ha intrapreso un deciso passo tecnologico, organizzativo e culturale verso la Grande Transizione del settore, serve una nuova generazione di “softwaristi”, progettisti, persone in grado di padroneggiare il linguaggio dei dati, degli algoritmi, dell’intelligenza artificiale, il codice della sostenibilità e della creatività.
E allora ecco la soluzione: una sorta di ponte aereo che collega Offanengo con le università tecnologiche di tutta l’India. Dal Rajasthan al Tamil Nadu, dal Bengala al Karnatka, uno dopo l’altro, dal subcontinente arrivano nella ‘bassa’ cremasca una dozzina di ingegneri. “Sul mercato del lavoro gli ingegneri del software sono difficili da trovare e quindi c’è una fortissima concorrenza che fa lievitare molto i costi – spiega Fabrizio Zorer, responsabile delle risorse umane della Vhit -. Quindi abbiamo iniziato ad ampliare il campo delle nostre ricerche e abbiamo avviato una collaborazione con un’agenzia di ‘cacciatori di teste’ con base in India”.
Dopotutto, la Silicon Valley non sarebbe mai potuta diventare ciò che è oggi senza il rilevante contributo fornito dagli ingegneri (e non soltanto) indiani. Il punto è che l’obiettivo di instaurare un’ambiente aziendale multiculturale non nasconda un grimaldello per ridurre i livelli retributivi offerti ai propri dipendenti. Detto ciò, se da un lato quote rilevanti di lavoratori qualificati che si sono formati in Italia si trasferiscono all’estero, e dall’altro ne entrano nel nostro paese altrettanti provenienti da altri Stati (come l’India), un contesto multiculturale favorisce tra l’altro l’internazionalizzazione delle aziende (e dello Stivale).