All’inizio di quest’anno, durante una cena, un amico stava raccontando l’esperienza di sua sorella con il ‘match’, il programma che abbina gli studenti di medicina laureati negli Stati Uniti ai posti vacanti nelle strutture sanitarie.
Si tratta di un processo, in parte casuale, spesso complesso per le coppie, ma non per lei e suo marito. Avrebbero accettato qualunque destinazione, dato che lui lavora da remoto per un’azienda tecnologica.
In effetti, gli uomini svolgono in modo sproporzionato rispetto alle donne occupazioni nel settore tecnologico. E, guarda caso, i lavori tecnologici sono quelli in cui la quota di coloro che lavorano da remoto è particolarmente elevata.
Due precisazioni spiazzanti per il mondo femminile. Tanto che aumentare l’occupazione femminile negli ambiti scientifici e tecnologici è stato a lungo un obiettivo delle femministe.
Claudia Goldin, brillante vincitrice del premio Nobel per l’economia l’anno scorso, ha dimostrato che la partecipazione delle donne alla forza lavoro è maggiore quando possono lavorare a distanza. Tuttavia, se si considera il contesto delle coppie (eterosessuali, evidentemente), si giunge a una conclusione più sorprendente: la liberazione geografica degli uomini (ovvero la possibilità di operare da remoto) giova enormemente alle loro mogli e compagne. Che possono, così, più facilmente lavorare (anche non da remoto).