Se c'è un dato storicamente certo è quello che l'innovazione tecnologica, in qualunque epoca storica, ha fatto aumentare la produttività. Eppure, proprio nella fase in cui più turbinosamente l’evoluzione della tecnologia permea la società e i processi produttivi, si assiste a un fenomeno spiazzante: la crescita della produttività è stagnante.
Da anni è così. Perché “questa” innovazione è diversa da quelle passate? Gli storici, gli economisti del lavoro, si arrovellano per capirne le ragioni. Senza riuscirci, per ora.
C’è chi nega la verità del dato: le rilevazioni non tengono conto infatti del “miglioramento della qualità” di beni e servizi, e questo errore valutativo è destinato a crescere.
C’è chi vede addirittura un problema dato dalla natura stessa delle nuove tecnologie, in particolare digitali: per quanti vantaggi possano apportare, però “affaticano” i lavoratori, perché obbligano a un rallentamento dato dal necessario tempo di apprendimento dei nuovi sistemi e perché portano con sé una serie di inevitabili fastidi come virus, spam, pirateria informatica.
In più esiste un’insidia più profonda: gli effetti collaterali da connettività. L’iper connessione permanente velocizza sì i processi lavorativi e li migliora, ma nello stesso tempo, sotto forma di email personali, video, social network, distrae, assorbe energie e concentrazione a chi lavora.
Esiste un bilancio finale, quindi, degli effetti sulla produttività dati dalla dimensione ipertecnologica della nostra società? No, ma anche se la parola finale non è stata scritta, è comunque assai probabile che i vantaggi superino gli effetti collaterali. Dobbiamo, però, imparare a riprendere il controllo di un’evoluzione tecnologica che ci sta sfuggendo di mano.
La voce di quoted
Il declino della produttività nelle economie avanzate appare evidente osservando i dati. Nei paesi presi in considerazione se si comparano due decenni (1971-1980 con 2005-2016) la riduzione risulta particolarmente lampante: Stati Uniti 1,5% / 1,1%; Giappone 4,3% / 0,8%; Germania 3,8% / 0,9%; Francia 3,9% / 0,6%; Italia 4,1% / 0,1%