L'Italia è il Paese OCSE con un’età media di pensionamento effettivo più bassa rispetto a quella ufficiale per la pensione di vecchiaia. Tradotto, i limiti di età previsti dalla legge sono alti, ma quelli reali non così tanto. La tesi è argomentata nel Panorama sulle pensioni 2017 dell’OCSE: nel 2016 il gap tra l'età di vecchiaia (66,7 anni) e quella media effettiva è stato pari a 4,4 anni di differenza, il divario più alto nell'area OCSE. Ci si pensiona, quindi, prima dei 63 anni.
L'attuale sfida dell'Italia è limitare la spesa pensionistica nel breve-medio termine e affrontare le difficoltà alle quali andranno incontro le prossime generazioni di pensionati.
La valutazione dell’Istituto con sede a Parigi è che l'aumento dell'età pensionabile dovrebbe continuare a essere la priorità dell'Italia al fine di garantire la sostenibilità finanziaria. Ciò significa concentrarsi sull'aumento dei tassi di occupazione, considerando che un mercato del lavoro più inclusivo ridurrebbe anche il futuro tasso di utilizzo delle prestazioni sociali per la vecchiaia. Come dire, elimino il problema alla radice.
Ma gli altri non è che stiano poi così bene. Per l’OCSE sono necessarie ulteriori riforme in molti Paesi per mitigare l'impatto dell'invecchiamento della popolazione, dell'aumento della disuguaglianza tra gli anziani e la crescente flessibilità del lavoro.
La spesa pubblica per le pensioni è aumentata di circa l'1,5 per cento del Pil dal 2000. Allo stesso tempo, le recenti riforme abbasseranno i redditi di numerosi futuri pensionati. Le persone vivranno più a lungo e per garantire loro una pensione accettabile occorrerà posticipare l'età della pensione.
Secondo la legislazione attualmente in vigore, entro il 2060 l'età di pensionamento aumenterà in circa la metà dei Paesi OCSE, oscillando dai 60 anni necessari in Lussemburgo, Slovenia e Turchia ai 74 in Danimarca.