L’emigrazione dal Brasile verso i paesi dell’Ocse è in crescita da anni, ma è esplosa nel 2017 con un aumento del 24% rispetto all’anno prima. C’è un dato in particolare che balza agli occhi. Circa il 30% di tutti i brasiliani che vivono nei paesi dell’Ocse ha un diploma universitario. Ed è una tendenza in forte crescita. Negli ultimi due anni le richieste di un visto permanente presentate da lavoratori qualificati della prima economia dell’America Latina per entrare negli Stati Uniti, la principale destinazione per coloro che lasciano il Brasile, sono cresciute del 30%, toccando i livelli più alti almeno degli ultimi dieci anni.
L’esodo è principalmente il risultato dell’instabilità economica successiva alla recessione del periodo 2014- 2016. Ma la fuga si è poi aggravata da quando è in carica Jair Bolsonaro, che considera gli accademici dei nemici. Il bilancio dell’Agenzia federale che finanzia la scienza è stato quasi dimezzato dal 2000 e, al contempo, il governo investe ingenti fondi affinché i componenti delle forze armate, spesso sostenitori del presidente populista, vadano a studiare all’estero.
Dopo aver cominciato a ridurre i costi del gravoso sistema pensionistico pubblico nel 2019, Bolsonaro ha rinunciato a perseguire le riforme economiche necessarie per stimolare la crescita. Il paese stava ancora riprendendosi dalla recessione quando è arrivata la pandemia. Oggi, con appena il 17% dei brasiliani pienamente vaccinato, la normalità economica appare ancora lontana. E la povertà è in sensibile aumento, anche se il Pil del primo trimestre ha superato le aspettative. Resta il fatto che il Brasile deve ancora fare i conti con una disoccupazione al 14,7%, il massimo di sempre.
Esportando scienziati e le loro innovazioni, il Brasile sta perdendo la possibilità di costruirsi un peso tecnologico al suo interno. E più di un quarto del Pil proviene ancora dall’agricoltura.