L’US Census Bureau ha pubblicato, venerdì 30 luglio, un report in cui si evidenzia che le importazioni di merci russe negli Stati Uniti è fortemente aumentata nel corso del 2021, arrivando al valore di 6,7 miliardi di dollari.
L’agenzia di stampa russa Rbc ha analizzato il contenuto del documento e ha rivelato che, da gennaio a maggio 2021, Washington ha aumentato di oltre tre quarti le sue importazioni di petrolio dalla Russia. Il principale prodotto petrolifero russo acquistato dagli Stati Uniti è l’olio da riscaldamento. Nello specifico, nel corso di 5 mesi, gli export petroliferi russi verso gli Stati Uniti sono aumentati del 78%, passando da 3,8 a 6,7 miliardi di dollari, rispetto ai primi 5 mesi del 2020.
Anche il settore russo di metalli e pietre preziose ha registrato un trend positivo e in continuo miglioramento. Secondo il rapporto, le importazioni statunitensi sono aumentate di quasi 1,5 volte, passando da meno di 1,1 a 1,6 mld.
L’aumento del volume delle importazioni di merci russe negli Stati Uniti si sta registrando sullo sfondo delle sanzioni antirusse che la Casa Bianca ha imposto lo scorso 15 aprile. Tuttavia, secondo gli analisti, l’incremento non rappresenta un paradosso. “Le sanzioni vengono introdotte in modo selettivo, i legislatori statunitensi stanno tentando di ridurre al minimo i danni alla loro economia”, ha sottolineato l’analista russo Yevgeny Mironyuk.
Per Katasonov, le misure restrittive che rischierebbero di mettere in ginocchio l’economia russa sarebbero ulteriori sanzioni sul debito pubblico, nonché la disconnessione dal sistema di pagamento internazionale Swift. Ciononostante, gli esperti hanno ribadito che le misure attualmente in vigore “non incidono sui principali canali del commercio bilaterale”, sottolineando la dipendenza statunitense dalla Russia per alcuni settori.
È, inoltre, importante menzionare i dati pubblicati dal Servizio statistico federale della Russia, Rosstat. L’istituto ha rivelato che gli Stati Uniti si trovano al 6° posto nel novero dei partner commerciali della Russia. Nelle prime cinque posizioni troviamo: Cina, Germania, Paesi Bassi, Bielorussia, e Regno Unito. Nel complesso, il commercio bilaterale russo-statunitense nel 2020 è stato pari a 23,8 mld. Tale valore ha rivelato un calo dell’8,9% rispetto al 2019, in cui l’indicatore si attestava intorno a 26,2 mld.
Analisi analoghe a quelle rese note dall’US Bureau erano state diffuse, il 25 marzo, dalla Energy information administration (Eia) degli Stati Uniti. Quest’ultima ha pubblicato un report dove si legge che il volume degli import statunitensi dalla Russia, nel 2020, è stato di 538 mila barili di greggio al giorno. Pertanto, su base annua, le forniture da Mosca sono aumentate del 3,5%, portando la Russia a diventare il secondo maggiore esportatore di petrolio negli Stati Uniti, rimpiazzando l’Arabia Saudita. Gli analisti statunitensi hanno osservato che cifre di questo tipo non si registravano dal 2011.
Secondo il direttore del gruppo per le risorse e materie prime della Fitch, Dmitry Marinchenko, nonostante gli indicatori da record, non si può affermare che gli Stati Uniti siano in uno stato di “dipendenza critica” dalle forniture russe. L’esperto ha spiegato che la Casa Bianca, nel caso in cui fosse necessario, potrebbe sostituire il petrolio russo con quello del Medio Oriente, anche se le caratteristiche di ogni tipo di petrolio non sempre rendono i greggi completamente interscambiabili.
Tale comparabilità è invece possibile tra l’oro nero russo e quello venezuelano, entrambi ‘pesanti’. E qui siamo al punto. Tra le principali ragioni che hanno portato gli Usa a incrementare l’importazione dalla Russia spiccano le dure sanzioni statunitensi contro il Venezuela, storico fornitore della prima economia al mondo.