I due maggiori fornitori per il Vecchio continente dopo la Russia, cioè Norvegia e Algeria, non sono in grado nel breve periodo di aumentare in maniera significativa le loro esportazioni. Per l'Europa l’unica alternativa è il Gnl americano. Ed è esattamente ciò che sta avvenendo.
Ai produttori di shale gas statunitense non è parso vero, visto che i prezzi del gas in Europa sono decuplicati rispetto ai tempi pre-crisi. Ma c’è un rovescio della medaglia: la rimozione di una quantità di gas in eccesso dal mercato statunitense ha fatto lievitare i prezzi del gas naturale anche sul mercato americano.
Nel corso degli ultimi dodici mesi, i produttori statunitensi hanno inviato in Europa oltre 70 Gmc di gas, sufficienti a compensare, da soli, oltre la metà dell’ammanco russo: quest’anno gli Usa hanno fornito all’Europa oltre la metà del Gnl importato (51%), seguito a grande distanza dal Qatar (15%), mentre la somma di tutti i Paesi africani arriva al 17%.
Insomma, gli Stati Uniti sono l’unico Paese a essere riuscito a fornire quantità significative di nuovo gas all’Europa, più che raddoppiando i volumi esportati rispetto a quelli dell’anno scorso (da 29 a circa 70 Gmc/a).
I produttori di Gnl americano stanno ottenendo un doppio vantaggio, rispondendo alla crisi di liquidità e finanziamenti e approfittando di un mercato del gas americano in cui i prezzi sono a loro volta quadruplicati in seguito all’esplosione della domanda europea.
Una combinazione che non fa ora sorridere Joe Biden. In un anno e mezzo, il benchmark Henry Hub (il riferimento statunitense) è salito da 2$/MBtu a oltre 8. Un prezzo troppo elevato per sperare che non incida sulle prossime elezioni di mid-term. Ma è la legge del mercato, invocata per decenni soprattutto dai paesi anglosassoni.