L’estremo nord-est dell’Angola è il paradiso degli investitori di diamanti. Nonostante il crollo dei prezzi sui mercati internazionali, il business diamantifero resta fiorente. L’anglo-sudafricana De Beers (quella dei bloody diamonds denunciati dalla Ong Global Witness nel 1998) è tornata in auge da alcuni mesi ed investe sia a Lunda Norte che a Lunda Sul, regioni diamantifere per eccellenza.
Lo Stato di diritto, però, nel Paese a lungo dilaniato dalla guerra civile non è mai esistito e la povertà continua a mordere. Eppure l’Angola avrebbe tanto, forse tutto per vivere bene, ma affronta asimmetrie inaccettabili e tanta corruzione.
A 50 anni dall’indipendenza dal Portogallo e dopo 22 di relativa pace, la democrazia non sembra dare segnali di vitalità.
Per legge, dal 2000 ad oggi la concessione dei diritti di estrazione mineraria è stata limitata a superfici non superiori a tremila chilometri quadrati: le royalties per l’estrazione dei preziosi sono pari al 5% del valore lordo dei diamanti prodotti, mentre le tasse sono pari al 6%. Nelle tasche dei cittadini però non entra una kwanza (la moneta locale). I terreni invece vengono espropriati senza risarcimento e senza pietà.
La speranza viene dai più giovani: su 29 milioni e 780mila abitanti, l’80% ha meno di 30 anni. E sono loro che potranno cambiare il sistema. A patto che il sistema non li reprima anzitempo.