Nel 2020 la Cina ha collegato 17 gigawatt (GW) di capacità eolica offshore alla sua rete elettrica, secondo l’Agenzia nazionale per l’energia, il che significa che ora può produrre fino a 26 GW della sua potenza in questo modo.
Un ritmo forsennato, senza precedenti: tra il 2015 e il 2020 il resto del mondo, tutto insieme, ha aggiunto poco più di 14 GW (è quanto emerge dai dati dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili).
Nel 2019, con 8 GW di capacità, il Regno Unito è stato il più grande produttore mondiale di eolico offshore. La quota globale della Cina è ora quasi la metà dei 54 GW di capacità eolica offshore a livello globale. Numeri rilevanti, anche se il mondo ha ancora bisogno di molta più energia eolica.
La Cina, che oltre ad essere il leader mondiale nell’energia del vento (non solo offshore), è anche il primo paese in classifica nella produzione di quella solare, vede l’eolico come un mezzo per ridurre l’inquinamento atmosferico e mantenere la sicurezza energetica.
L’Agenzia internazionale per l’energia stima che il mondo, meno la Cina, abbia aggiunto solo 2,5 GW in più di energia eolica offshore nel 2021. L’amministrazione Biden ha fissato un obiettivo di 30 GW di capacità eolica offshore entro il 2030, ma solo di recente ha approvato il suo primo grande progetto (che fornirà ‘appena’ 800 megawatt).
L’abbraccio della Cina all’energia verde, tuttavia, non maschera la sua dipendenza da quella sporca, in particolare il carbone, la più grande fonte di gas serra a livello globale, il cui utilizzo è in declino nella maggior parte del mondo, ma nella seconda economia al mondo rappresenta il 60% della produzione energetica e resterà una fonte importante anche negli anni a venire.
Ecco allora che, se non si allontana dal carbone, l’obiettivo di Pechino di raggiungere l’obiettivo di emissioni nette zero entro il 2060 rischia di suonare come parole al vento.