Per fare la transizione energetica e digitale senza dipendere troppo dall’estero (cioè dalla Cina), l’Italia dovrebbe riaprire le miniere. È questo il messaggio, neppure tanto implicito, che esce dal database delle risorse minerarie nazionali pubblicato dell’Ispra, l’istituto di ricerca del ministero dell’Ambiente.
Il database Gemma (Geologico, Minerario, Museale e Ambientale) è stato preparato da Ispra in vista della redazione del Programma minerario nazionale, imposto quest’anno dall’Ue con il Critical Raw Materials Act.
Con questo regolamento, l’Unione ha individuato 34 materie prime critiche per la transizione verde e digitale, e ha previsto che i singoli Stati facciano una ricognizione dei loro giacimenti ed avviino le estrazioni possibili. In Italia al momento ci sono 76 miniere, ma si estraggono soltanto 2 delle materie critiche: il feldspato (20 miniere) e la fuorite (2 miniere, a Bracciano nel Lazio e Silius in Sardegna).
Nel nostro Paese tuttavia esistono numerosi giacimenti di altre “terre rare” per le transizioni verde e digitale, e potrebbero essere potenzialmente sfruttati per ridurre la dipendenza dall’estero: litio, rame, manganese, tungsteno, cobalto, magnesite, titanio, bauxiti, stronzio, barite, grafite.
Ma dove sono in Italia queste terre rare? Sull’Appennino ligure emiliano, sulle Alpi occidentali, in Trentino, in Carnia e in Sardegna si trova il rame. Giacimenti di tungsteno esistono in Calabria, in Sardegna e sulle Alpi. In Piemonte e in Sardegna c’è il cobalto, in Toscana la magnesite e sulle Prealpi venete i sali magnesiaci. Un mega-giacimento di titanio si trova sotto il parco naturale del Beigua nel Savonese, le bauxiti dalle quali si estrae l’alluminio sono in Sardegna, in Puglia e nell’Appennino centrale. Nelle solfatare siciliane si trova lo stronzio, mentre il litio è stato scoperto nei fluidi geotermici di Toscana, Lazio e Campania. La barite è stata trovava nel Bergamasco, nel Bresciano e in Trentino, la grafite nel Torinese, nel Savonese e nella Sila.