Con gli stivali ai piedi e pronti a tuffarsi nelle viscere della terra. Così, ogni mattina, un centinaio di lavoratori si presentano davanti alla miniera d'oro di Evander in Sudafrica, nella speranza di poter esser presi a giornata. In 1.710 sono stati licenziati a maggio dalla compagnia Pan African Resources (che è proprietaria del sito), a due ore di macchina da Johannesburg, fondata nel 1886 proprio grazie alla scoperta delle riserve d'oro.
È sul metallo giallo che è stato basato lo sviluppo di tutto il Sudafrica. Ma ora le condizioni sono mutate. Il calo del prezzo dell’oro, l'esaurimento delle riserve che richiedono scavi più profondi (fino a 3 mila metri), l'aumento dei salari dei minatori e la diminuzione della produttività hanno devastato la forza lavoro.
Tre quarti delle miniere d'oro del paese non sarebbero più redditizie, secondo le industrie minerarie, che prevedono una forte diminuzione della produzione intorno al 2019-20 e l'esaurimento delle miniere entro il 2033.
Il paese si prepara, dunque, a rilevanti perdite di posti di lavoro che non saranno mai reintegrate. È un declino che in realtà coinvolge tutto il settore minerario. Negli anni '80, il periodo migliore, il comparto impiegava fino a 760 mila dipendenti e contribuiva fino al 21% del Pil. La sua forza lavoro è, poi, scesa a 460.000 nel 2017 e al momento fornisce soltanto il 10% del reddito nazionale.
Per resistere, le compagnie minerarie stanno cercando di sfruttare il ferro, il manganese e, in particolare, il platino, di cui il Sudafrica detiene la maggior parte delle riserve mondiali. Ma all'inizio del mese, Impala Platinum – uno dei principali player - ha annunciato il taglio di 13 mila occupati nella sua miniera di Rustenburg. Secondo l'Unione nazionale dei minatori, l’obiettivo è utilizzare addetti temporanei per ridurre il costo del lavoro. Ma esser retribuiti 2 euro l’ora, ovvero quanto le società estrattive sono disposte a riconoscere agli interinali, non è sufficiente per vivere neanche in Sudafrica.