Come si evince dalla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), che costituisce la base per la manovra di bilancio per il 2024, il governo Meloni prevede di peggiorare il disavanzo sia per l’anno in corso (dal 4,5 per cento del Pil previsto nel Def al 5,3 per cento) che ulteriormente per l’anno successivo (dal 3,7 al 4,3 per cento del Pil).
Il punto è che l’incremento del deficit non ha giustificazioni sul piano economico. L’economia italiana è in rallentamento, ma non in recessione, con una crescita prevista all’0,8 per cento per 2023 e all’1,2 nel 2024, tassi di crescita del tutto in linea con quelli registrati dall’Italia nel periodo precedente alla pandemia.
In realtà, la manovra sconta alcuni errori commessi nel recente passato. Nella legge finanziaria del 2022, il governo aveva previsto di mantenere inalterata per il triennio successivo la spesa nominale per il personale e per l’acquisto di beni e servizi, una previsione insostenibile data la ripresa dell’inflazione, ed è ora costretto a fare marcia indietro.
Inoltre, l’esecutivo ha deciso di investire pesantemente nel 2023 sulla riduzione del cuneo fiscale sui redditi da lavoro fino a 35 mila, con un ulteriore incremento a partire da giugno. Un intervento indubbiamente oneroso (troppo?) per le finanze pubbliche.
Ma il problema vero della manovra non riguarda tanto il deficit. I numeri presentati nella Nadef prevedono una modesta riduzione del rapporto debito su Pil nel prossimo anno (dal 140,2 per cento nel 2023 al 140,1 nel 2024) e una riduzione altrettanto ridotta negli anni successivi (fino a raggiungere il 139,6 per cento nel 2026).
Il quadro è particolarmente preoccupante, perché l’Italia gode ancora del vantaggio di un “effetto palla di neve” positivo, dato dalla differenza tra il costo medio del debito e la crescita nominale del Pil, che comporta un’automatica riduzione del rapporto debito su Pil. L’effetto si esaurirà nel giro di due-tre anni, via via che il debito viene rinnovato a tassi di interessi più elevati e l’inflazione si riduce.
Ipotizzare di interrompere il percorso di riduzione del rapporto debito su Pil, pur in condizioni che restano ancora favorevoli, rappresenta un segnale fortemente negativo per i mercati finanziari, come testimonia anche il rapido ampliamento dello spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi.
In poche parole, se l’Italia non riesce a ridurre il proprio debito in condizioni favorevoli, sembra difficile che possa farlo in futuro, quando l’effetto palla di neve si sarà esaurito o cambierà di segno e il Paese potrà affidarsi solo ad ampi e crescenti avanzi primari per controllarne la dinamica.
La domanda che torna ad aleggiare in alcune cancellerie estere e sui famigerati mercati finanziari è sempre la stessa: l’Italia è davvero in grado di controllare i propri conti?