Un peso da duemila miliardi di dollari. Salito di oltre il 10 per cento nell’ultimo anno, dal 2022 al 2023. E avviato a sfondare la soglia dei tremila miliardi entro il 2027. È il costo degli interessi sul debito pubblico pagato dai governi del mondo, secondo una stima del Wall Street Journal con il supporto di dati e analisi di Teal Insight, Fitch e Fondo Monetario Internazionale.
In testa, in cifra assoluta, gli Stati Uniti, che nell’ultimo anno fiscale a settembre hanno speso un ammontare record netto di 659 miliardi – vale a dire un terzo della montagna di interessi globali versati e pari al 2,45 per cento del Pil, il massimo dal 1998.
Fitch ha calcolato per tutto il 2023 anche qualcosa di più: 708 miliardi per gli Usa, seguiti da 196 per l’India, 176 per la Cina in affanno, 125 per il Brasile. L’Italia entra in classifica con 90 miliardi, contro i 56 miliardi ad esempio di Francia e Giappone.
Il boom del servizio del debito pubblico riguarda comunque tutti i Paesi, ricchi e poveri, con conseguenze potenzialmente significative seppur di diversa urgenza nell’uso delle risorse a disposizione.
Per le maggiori potenze la sfida è affrontare con questo fardello investimenti e spesa in transizione energetica o budget militari in uno scenario segnato da conflitti; in Stati meno fortunati la scelta può diventare tra pagare gli interessi e offrire sanità e istruzione e impedire nuovo dilagare della miseria.
“Siamo davanti a una crisi strisciante nello sviluppo”, ha commentato Teal Emery, di Teal Insight. “Ogni dollaro che va al servizio del debito è un dollaro non speso in istruzione e infrastrutture che generino crescita. Assisteremo a un aumento della povertà”.
Per Washington la voce interessi sul debito è già la terza nel budget di spesa, alle spalle di Pentagono e programmi sociali obbligatori (Medicare e Social Security, sanità per gli anziani e pensioni). E nessuno sembra avere una soluzione a portata di mano per affrontare la questione.