Nell’agosto del 2022, in Scozia, entrò in vigore la norma che rendeva gratuita la distribuzione dei prodotti igienici femminili all’interno delle strutture pubbliche, comprese le scuole e le università, la promotrice della legge, la laburista Monica Lennon, commentò orgogliosa che finalmente, nel proprio Paese, sarebbe finita la period poverty, ossia la “povertà legata al ciclo”.
L’Italia va, invece, controcorrente: il governo ha deciso che i prodotti per l’igiene femminile e quelli per l’infanzia non saranno più soggetti all’Iva al 5 per cento. La bozza della finanziaria prevede che latte in polvere, preparazioni per l’alimentazione dei bimbi, assorbenti, tamponi e coppette mestruali tornino tra quelli per cui l’imposta prevista è al 10 per cento.
Come si fa a ignorare la situazione delle donne che i soldi per i prodotti igienici non li hanno? Come si fa a dire di voler aiutare le famiglie quando si aumentano proprio le tasse sui pannolini e il latte in polvere?
Presi per il PIL
In Italia l’aliquota ordinaria IVA è pari al 22 per cento. Poi ci sono tre aliquote ridotte (10, 5, e 4 per cento) che si applicano a specifici beni e servizi. Le entrate fiscali dell’Italia provengono in ordine decrescente da: Irpef, Iva, e accise.
A livello europeo, in termini assoluti i Paesi membri che registrano la maggiore evasione dell’imposta sul valore aggiunto sono Italia (un dato che sembra suggerire al governo di concentrarsi maggiormente sull'evasione piuttosto che sull'aumento delle aliquote) e Germania. Nel complesso dei 27 Stati, nel 2019 sono andati persi ben 134 miliardi di euro.
In termini percentuali, i “campioni” sono Romania, Grecia e Malta.