La protesta degli agricoltori prosegue. D’altronde, il sistema che governa la produzione agricola appare sbagliato in sé, non per le leggi che tutelano l’ambiente, ma perché il libero mercato non funziona poi così bene. Uno dei problemi è che la filiera dell’agricoltura è in larga parte nelle mani dei mercati finanziari. Con il risultato che agli agricoltori produrre un bene spesso costa più del prezzo minimo cui possono venderlo.
Nel 1910 (secondo i dati Fao) la percentuale del prezzo di un bene agricolo che finiva nelle tasche del piccolo produttore era del 40 per cento circa. Nel 1997 questa percentuale si è ridotta fino al 7 per cento. Oggi, ancora meno. E come sono coperti tali costi? Con gli aiuti e i contributi dell’Ue con un meccanismo di distribuzione che premia le aziende medio-grandi in un contesto dominato dalle aste al ribasso, gestite dalla grande distribuzione, dove le programmazioni sui costi fatte dai produttori non vengono rispettate.
Il paradosso è che basterebbe applicare la direttiva sulle pratiche sleali dell’Ue. L’Italia l’ha approvata, ma in deroga. Oltre a ciò, un’idea potrebbe essere quella di introdurre oltre alla tracciabilità del prodotto anche la tracciabilità del prezzo (un’ipotesi già avanzata da alcune associazioni). Infine, i salari dei lavoratori dovrebbero crescere (soprattutto in Italia) affinché, nelle vesti di consumatori, possano permettersi di acquistare i prodotti agricoli al loro giusto prezzo.