In giapponese, la parola è johatsu, o gli “evaporati”. Succede che tormentati dalla vergogna per aver perso il lavoro, per un matrimonio fallito, o per un debito, migliaia di cittadini giapponesi ogni anno decidono di lasciarsi alle spalle le proprie identità per cercare rifugio nell’anonimato, mettendosi di fatto fuori dalla circolazione. Fatti raccontati da un libro (“The Vanished: The ‘Evaporated People’ of Japan in Stories and Photographs”) della coppia francese Léna Mauger e Stéphane Remael.
Non esistono dati ufficiali del governo su questa tendenza, ma secondo la ricerca della coppia oltre 100 mila persone spariscono ogni anno. In realtà, nessuna di queste persone scompare fisicamente. L’evaporazione è più una scomparsa amministrativa. I johatsu optano per cambiare i loro nomi, indirizzi, e legami professionali.
Tutto avviene per un’ossessione giapponese, quella del ‘salvare la faccia’ che si manifesta anche in altri modi nel paese nipponico. Ad esempio, la lingua giapponese ha una parola per descrivere i suicidi dovuti ad eccessivo lavoro: ‘karoshi’. Secondo una recente rilevazione, oltre il 20% degli intervistati (in totale 10 mila) ha detto di lavorare almeno 80 ore di straordinari al mese. E il 50% rinuncia a prendersi vacanze retribuite.
Una cultura del lavoro portata agli eccessi.