La discussione sulla differenza del costo della vita tra Nord e Sud è diventata insopportabile. Anzi, lo è sempre stata

Perché la Tv è sempre più nordista

La discussione sulla differenza del costo della vita è insopportabile

Altro che cavalli di battaglia. Si tratta di incubi. Da giorni la maggior parte dei talk politici in Tv nel Belpaese sono di nuovo popolati dal secolare dibattito sull’inflazione e il costo della vita. Il ragionamento di base è piuttosto elementare: visto che la vita costa di meno al Sud allora riduciamo i salari ai lavoratori meridionali. Il paradosso è che è già così. Ebbene sì, i salari sono mediamente superiori nelle regioni del Centro-Nord. Così, mentre vengono periodicamente riproposti servizi tutti uguali con un paio di inviati che fanno la spesa al mercato ortofrutticolo di turno, lanciando numeri come fossimo al Lotto, alla fine si scopre che le alici costano due euro e mezzo a Palermo e 10-15 a Milano. D’altronde è il mercato bellezza: è la domanda a fare il prezzo. Più richiesta c’è, e più il prezzo sale (al netto dei costi di trasporto).

Peccato che così facendo non abbiamo raccontato metà della mela, forse un piccolo spicchio. Il primo passo è allora ribaltare il paradigma: perché i prezzi al consumo (così come calcolati dall’Istat) sono più bassi al Sud? Perché c’è meno ricchezza, dunque meno domanda. Il punto sarebbe quindi come aumentare tale ricchezza. Invece, riducendo i salari, si condannano i meridionali a restare lì dove sono, sull’orlo della povertà, e il gap Nord-Sud è destinato ad aumentare.

L’errore grossolano è su come viene calcolato il costo della vita che non comprende evidentemente solo i beni alimentari, l’affitto di un immobile, ecc. Ma anche altri fattori che incidono con frequenza più o meno regolare nella vita della persone e delle famiglie. E qui entrano in gioco i servizi offerti alla cittadinanza. Ecco qualche concreto esempio: se si vuole frequentare un’università (considerata) prestigiosa è necessario trasferirsi al Centro-Nord. La direzione è la stessa anche se occorrono cure mediche specialistiche e innovative. Se un bimbo soffre di qualche seria patologia è molto probabile gli venga suggerito di andare nel primo ospedale che si trova risalendo lo Stivale da Sud: il Bambin Gesù di Roma. Fattori che mettono in gioco cifre rilevanti attivando un circolo vizioso che fanno ancora più ricco il Nord. Per non parlare della quali-quantità dei servizi pubblici locali. L’inefficienza dei trasporti e le scarse infrastrutture, ad esempio, incidono anch’esse sul bilancio familiare. Ecco perché è miope equiparare il costo della vita al livello dei prezzi al consumo.

In un mondo che sembra girare alla rovescia, invece, la Tv continua a proporci lo stesso schemino che manda in confusione il pubblico (pagante) inducendolo a credere che in effetti se il prezzo delle alici è quello, allora è giusto ridurre i salari. Nel frattempo, il Mezzogiorno resta zavorrato nella sua trappola di gattopardesca memoria: bisogna cambiare tutto per non cambiare niente. E nessuno sembra preoccuparsi che l’unica via sarebbe quella di puntare sullo sviluppo del Sud, riducendo le disomogeneità su base domestica. Ma è un discorso che a molti, forse a troppi, non conviene: dopotutto, se alcuni ospedali e università del Nord sono così ricchi è anche per la transumanza unidirezionale che da decenni monta da Sud verso Nord.

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