Il dollaro è un problema per tutti. Non solo per le economie in via di sviluppo

Negli ultimi decenni, la politica monetaria della Federal Reserve statunitense ha avuto un impatto sproporzionato sulle economie emergenti e in via di sviluppo. Ma i differenziali dei tassi di interesse tra la Fed e le altre banche centrali delle economie avanzate stanno mostrando ai paesi ricchi del mondo che l’enorme impatto globale del dollaro è un problema per tutti.

Il dollaro è un problema di tutti

Nel 1971, il Segretario al Tesoro degli Stati Uniti John Connally disse ai suoi omologhi del G10 che “il dollaro è la nostra valuta, ma è un vostro problema”. Connally fu inaspettatamente sincero sul fatto che, nonostante il biglietto verde fosse la principale valuta di riserva mondiale, il suo scopo principale era quello di promuovere gli interessi degli Stati Uniti.

Ciò rimane vero anche oggi. Ma negli ultimi decenni, il ruolo centrale del dollaro nel commercio e nella finanza globali ha posto più problemi alle economie emergenti e in via di sviluppo (EMDE) che ai paesi ricchi del mondo.

Ad esempio, l’attuale fase di politiche monetarie restrittive attuate dalla Federal Reserve statunitense ha colpito in modo sproporzionato le EMDE, alimentando massicci e smisurati deflussi di capitali (che tendono ovviamente a spostarsi laddove i rendimenti sono maggiori a parità di rischio). Ciò, a sua volta, ha innescato oscillazioni valutarie che esacerbano le sfide macroeconomiche e aumentano i costi del servizio del debito, con conseguente spazio fiscale limitato per gli investimenti pubblici.

Alcune recenti divergenze di politica monetaria tra la Fed e le altre banche centrali delle economie avanzate stanno, tuttavia, alimentando la volatilità del tasso di cambio nei paesi ricchi del mondo.

Vediamo il caso del Giappone, che ha recentemente iniziato a intervenire sui mercati dei cambi per arginare la rapida discesa dello yen.

A giugno, il Tesoro degli Stati Uniti ha aggiunto il Giappone alla sua “lista di monitoraggio” per pratiche potenzialmente sleali in materia di cambi.

Le autorità nipponiche hanno effettivamente speso miliardi di dollari per sostenere lo yen, che ha perso un terzo del suo valore dal 2021. Ciò è dovuto in gran parte al differenziale di tasso di interesse sbalorditivo tra i due paesi: quando la Fed ha aumentato bruscamente i tassi di interesse all’inizio del 2022 per combattere l’inflazione, la Banca centrale del Giappone ha mantenuto la sua politica di tassi di interesse negativi per affrontare la deflazione interna.

In particolare, le autorità giapponesi hanno speso la cifra record di 9,8 trilioni di yen (61,2 miliardi di dollari) ad aprile e maggio per invertire la tendenza al ribasso dello yen, superando l’importo totale impiegato per difendere la valuta nel 2022. Nonostante l’entità di questi sforzi, la discesa dello yen è continuata. A luglio, il governo giapponese ha speso 36 miliardi di dollari per un altro tentativo di acquisto di yen, il suo terzo intervento dell'anno.

Di solito, le autorità monetarie intervengono per indebolire la valuta locale per incrementare le esportazioni e migliorare la competitività. Le misure insolite recentemente adottate dalle autorità monetarie giapponesi riflettono invece gli alti costi della divergenza della politica monetaria per la stabilità e la crescita globali.

Mentre lo yen debole ha aumentato il turismo in entrata e le esportazioni verso gli Stati Uniti, ha anche portato a un’eccessiva volatilità del tasso di cambio, frenando gli investimenti aziendali e aumentando i costi per l’industria e gli importatori. I consumi privati, che rappresentano più della metà dell’economia giapponese, hanno rallentato, aumentando il rischio di stagflazione. Di conseguenza, il governo giapponese ha rivisto al ribasso le sue previsioni di crescita per l'attuale anno fiscale (che termina a marzo 2025) dall’1,3% a circa lo 0,9%.

Alcuni segnali indicano un restringimento del differenziale dei tassi di interesse e una stabilizzazione dello yen. Nella seconda metà di luglio, lo yen si è rafforzato rispetto al dollaro del 4% e ha raggiunto il livello più forte da marzo, il giorno dopo che la BOJ (la banca centrale nipponica) ha aumentato il suo tasso di interesse di riferimento allo 0,25%. L’impennata dello yen è seguita a dati più miti sull’inflazione negli Stati Uniti a giugno e a un mercato del lavoro più debole a luglio, entrambi fattori spingono la Fed ad accelerare sul taglio dei tassi.

Questa nuova fase divergenza politica tra banche centrali di importanza sistemica sottolinea l’enorme impatto globale del biglietto verde. Quando queste autorità monetarie si muovevano in sincronia, era facile vedere la valuta statunitense come un problema solo per gli EMDE. La recente tensione valutaria del Giappone, tuttavia, serve da duro promemoria del fatto che il dollaro è potenzialmente un problema sia per le economie ricche che per quelle povere.

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