La Fed ha alzato come previsto il tasso di riferimento dello 0,25 per cento portandolo al 5-5,25 per cento. Il voto a favore della nuova stretta è stato unanime. Si tratta del decimo rialzo in quattordici mesi. Poco più di anno fa, nel mese di marzo, i tassi di interesse viaggiavano intorno allo zero per cento.
Cambiano però le indicazioni sui passi futuri: nel comunicato ufficiale pubblicato al termine della riunione della Banca centrale statunitense non compare più la frase: “Il Comitato (di politica monetaria) anticipa che addizionali rialzi possono essere appropriati”.
Un dettaglio che ha un’implicazione: d’ora in poi i rialzi potrebbero essere più distanziati nel tempo. In ogni caso - ha detto in conferenza stampa il presidente Jerome Powell - “siamo pronti a fare di più se saranno necessari maggiori restrizioni”, aggiungendo che “valuteremo” la questione della pausa “a giugno”.
Le pressioni sull’inflazione restano quindi elevate e la strada verso il ritorno all’obiettivo del 2% è ancora lunga. La politica monetaria restrittiva comincia però a pesare sul settore immobiliare, per l’aumento dei tassi sui mutui, e in parte sugli investimenti fissi.
Tassi più elevati infatti hanno notevolmente aumentato i costi di indebitamento nella più grande economia del mondo, svolgendo un ruolo nei recenti fallimenti di tre banche statunitensi. E spingendo gli Stati Uniti verso una fase recessiva?