La scorsa settimana il valore dello yen giapponese rispetto al dollaro statunitense ha registrato un deprezzamento. Il che significa che occorrono più yen per ottenere un dollaro, e il tasso di cambio è aumentato a 160 yen, il massimo dal 1990.
Nei giorni successivi il deprezzamento è in parte rientrato, ma questi movimenti al rialzo fanno parte di una tendenza che va avanti da mesi. Dall’inizio del 2024 lo yen ha, infatti, perso circa l’11 per cento nei confronti del dollaro.
Il deprezzamento dello yen, da sempre considerato un bene rifugio per gli investitori, è attribuito principalmente all’ampio differenziale dei tassi di interesse tra il Giappone, dove sono ancora molto bassi, e gli Stati Uniti, dove invece sono alti.
Nonostante a marzo la Banca centrale nipponica abbia posto fine all’era dei tassi negativi con il primo aumento dopo 17 anni, i tassi di interesse in Giappone rimangono i più bassi tra quelli delle economie sviluppate.
Il divario tra i tassi ha spinto gli operatori finanziari a prediligere investimenti in dollari, esercitando così una pressione al ribasso sullo yen. Con conseguenti effetti sull’economia domestica: una valuta più debole ha fatto aumentare le esportazioni e ha stimolato il turismo.
Ma allo stesso tempo ha comportato anche effetti negativi: poiché nella quarta economia al mondo le importazioni superano le esportazioni, uno yen debole ha causato un aumento dei prezzi e, dunque, del costo della vita.