“Non serve una politica per i poveri, ma una politica dei poveri”

La novità principale di Papa Francesco non è solo nel vigore della denuncia dello stato delle cose presente, ma nell’identificazione di un nemico storicamente esistente. Ha capito che la solidarietà è autentica solo se si accompagna alla lotta.

“Non serve una politica per i poveri ...”

Il messaggio del pontificato di Francesco è stato politico, innanzitutto perché ha avuto il coraggio di indicare con chiarezza il nemico, il colpevole dell’ingiustizia, “quella struttura ingiusta”, dominata dal “primato del danaro che collega tutte le esclusioni”, “rende schiavi, ruba la libertà”, “mitizza il progresso infinito e l’efficienza incondizionata”.

La novità principale non sta solo nel vigore della denuncia dello stato delle cose presente, ma nell’identificazione di un nemico storicamente esistente, e, dunque alle contraddizioni che spaccano inevitabilmente la società e che impongono il dovere della lotta se si vogliono superare. Non si possono ignorare.

È anche per questo che appare oggi così importante l’insistenza di papa Francesco sulla necessità di quanto in questi ultimi decenni si è indebolito: la soggettività, la costruzione di un protagonismo del necessario agente del cambiamento, oggi addomesticato, anestetizzato.

Agli sfruttati, alle vittime del sistema, Francesco si è rivolto per invitarli a non restare “a braccia conserte”, a “passare dalla fase della resistenza a quella dell’appropriazione del potere politico, dalla lotta sociale alla lotta elettorale”.

Detta in due parole: capire che la solidarietà è autentica solo se si accompagna alla lotta. E perciò è indispensabile passare dalla carità alla politica, che quelle contraddizioni deve saper superare ma non ignorare. La frase più esplicita e polemica del Papa è stata proprio questa: “Non serve una politica per i poveri, ma una politica dei poveri”. O, come ha ancor più esplicitamente dichiarato parlando ai giovani: “Ragazzi, la carità è una bella cosa, ma serve la politica”.

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