A pochi giorni dalla riapertura, le indicazioni ministeriali e relativi provvedimenti (Piano scuola 2020-2021 del 26 giugno 2020, protocollo di sicurezza del 06.08.2020, Linee guida per la D.D.I. - Didattica Digitale Integrata) emanate dal Governo per la prevenzione, il contenimento e la gestione del (eventuale) contagio sono oggetto di polemiche di varia natura.
Una di queste, probabilmente tra le più mediaticamente rilevanti, riguarda la fornitura, a richiesta, dei banchi monoposto, quelli “con le rotelle”, per usare la sprezzante dicitura utilizzata. Perché questa feroce polemica e altrettanta attenzione mediatica? Nonostante da circa venti anni, ossia dall’introduzione della Legge “Bassanini” sull’autonomia (Legge 15 Marzo 1997 n. 59), la scuola sia stata interessata da innovazioni organizzative, non altrettanto è avvenuto in termini di innovazione didattica. Del resto, la stessa autonomia, è piuttosto lontana dall’essere un punto di arrivo e l’introduzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha seguito un percorso randomico, spesso teso ad introdurre ferraglia tecnologica senza alcuna reale modifica del paradigma didattico complessivo.
Sia ben chiaro che questo non vale sempre e, anzi, ci sono non pochi casi di istituti che hanno innovato e continuano a farlo, seguendo una linea chiara di sinergia tra la normativa, la tecnologia e la didattica. Ma la scuola italiana resta ancorata, nella stragrande maggioranza e nell’immaginario collettivo, ad alcuni capisaldi dell’impianto gentiliano a partire dall’unità oraria scandita dalla campanella o dallo spazio fisico dell’aula/laboratorio come luogo unico e sacro ove il sapere si genera e si trasmette.
Come in ogni organizzazione, lo spazio fisico (il layout) non è una invariante rispetto alle attività che in esso si svolgono. Si pensi ad una fabbrica automotive. I paradigmi produttivi, nel corso di un secolo, si sono evoluti passando dallo Scientific Management di Taylor (attuato dalla Ford) alla Lean Production, passando attraverso il TQM (Total Quality Management) di Deming e Juran, attuato dalla Toyota, spostando il focus dall’efficienza alla flessibilità, dall’alienazione all’empowerment.
Ecco, sembra che tutto questo, per la scuola, non sia mai accaduto. Il guaio è che il problema non sembra essere solo italiano ma ben più ampio a livello geografico. Sir Ken Robinson, educatore e scrittore britannico, recentemente scomparso, affermava che i sistemi educativi sono modellati sugli interessi dell’età industriale (intesa come quella della rivoluzione industriale dei primi del ‘900) e Seth Godin, scrittore e imprenditore statunitense, rincara la dose, affermando che l’unico intento dei sistemi di istruzione è abituare i ragazzi a lavorare in una fabbrica.
Ma quanto è diverso il lavoro in fabbrica? Molto, anzi moltissimo. Cosa è cambiato? L’orario di lavoro, le competenze, la postazione, la strumentazione, la capacità di pensare con le macchine, la flessibilità intesa come leva strategica di adattamento al cambiamento organizzativo. Ora, dire che “anche i vecchi banchi si possono spostare” è vero (chi scrive, da anni pratica una didattica con un laboratorio mobile in aule “tradizionali” nelle quali modifica il layout: www.comakinglab.education). Però è vero anche che il tempo di setup, per usare ancora una metafora della produzione, si riduce notevolmente usando delle sedie che facilitano modifiche rapide di setting d’aula.
Il nodo cruciale è: si ha in mente una didattica diversa da quella trasmissiva o, ancora meglio, una didattica che utilizzi vari metodologie (plurale) differenti nella medesima attività didattica? Ecco perché avrebbe senso parlare di ambienti (e setting) didattici, più che di sedie/banchi/cattedra. Perché parafrasando Arthur Bloch, umorista e scrittore statunitense, “se usi solo un martello, prima o poi tutto ti sembrerà un chiodo da battere”.
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Domenico Aprile, PhD in Advanced Production Systems, Insegnante di Informatica